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Di tutto questo e altro abbiamo desiderato discutere con un giornalista televisivo, un volto noto della RAI, Massimo Bernardini, conduttore e autore di TV Talk (talk show sulla TV che ormai è in onda da quasi 20 anni) e del programma “Il tempo e la storia”, su Rai5. Un giornalista con tanti interessi, esperto di musica, appassionato della storia, e che ama raccontarla. Abbiamo incontrato Bernardini in occasione del Meeting di Rimini, a margine della mostra dedicata proprio alla stagione del 68 D. Bernardini, la prima domanda ha a che fare con il ruolo di noi genitori: come possiamo fare memoria di quella stagione, come possiamo raccontarla a i nostri figli? Abbiamo perso un po’ la memoria del ‘68? R. I curatori della mostra sul 68 presentata qui al Meeting, in particolare la professoressa Bocci della Cattolica, sono stati colpiti della capacità seduttiva del ’68 verso ragazzi che non ne sanno nulla, e ne ho avuto conferma vedendoli così attenti alle testimonianze durante gli incontri. Da una parte c’è una storia finita, ad esempio se mi metto a spiegare ai miei figli dei gruppuscoli degli anni settanta, di Lotta Continua, Avanguardia Operaia, Servire il Popolo, di un giornale come Re Nudo, bah …, non gliene frega un accidente, mi sembra veramente di parlare dei sette re di Roma. Invece, se tu vai al nocciolo della questione, che è la parola desiderio, lì succede qualcosa. In particolare, i ragazzi sono stati stregati dal discorso di Mario Savio, figlio di emigrati italiani, a Berkeley nel 1964. Quell’anno si era aperto un dibattito sulla funzione dell’Università, ed era un dibattito feroce su due livelli della questione: uno è quello razziale, l’Università di allora era bianca senza accesso ai neri, o con un percorso parallelo solo per neri, l’altro è la contestazione del ruolo stesso dell’Università, come mero passaggio della macchina del potere economico. Savio, con una visione che sta tra Bob Dylan e Joan Baez, fa un meraviglioso discorso, come se fosse un anarchico dell’800, in cui dice “dobbiamo buttare i nostri corpi per fermare l’ingranaggio”. E mi colpisce che dei ragazzi giovani di oggi siano affascinati da questa radicalità quasi francescana di Mario Savio. L’attrattiva nasce lì, quando, con totale generosità, tu vuoi gettarti contro l’ingiustizia, come dire, non voglio del potere, ma voglio che il potere si fermi, che la macchina del potere si fermi. A proposito, una cosa mi ha colpito quando sono stato a Berkeley: proprio dove Mario Savio salì scalzo su una macchina della polizia per fare quel discorso storico, sul selciato all’ingresso all’Università c’è una scritta che ricorda quell’episodio. 47