del potere, sulla rinuncia degli intellettuali a levare la propria voce.
Creonte, circondato dai suoi consiglieri, è pronto a ricostruire Tebe e a schiacciare chiunque osteggi la rinascita e l'unità del paese.
La decisione è se scatenare l'ira degli dei o scontentare i suoi cittadini, e Creonte non ha dubbi su quale sia il male minore.
Un messaggero porta le ultime notizie. Creonte e Antigone (da cui non si stacca il fedele Eumpolo che ne condividerà la sorte) si fronteggiano: l'uomo rimprovera la ragazza che, spinta dal profondo affetto che prova per il fratello, ha infranto la legge, esterna il dolore che prova a condannarla, si appella ai propri sostenitori per sapere come regolarsi, i quali approvano la sentenza di morte emessa dal re. Antigone, che ha svelato con molto distacco gli intrighi di Creonte per impadronirsi del trono, non vuole che si sparga altro sangue, e invita il popolo a tornarsene a casa: la maledizione dei Labdacidi deve estinguersi con lei. E si dirige verso la fine che l'attende.
Le conclusioni sono tirate dal Lucido Consigliere, che, da accorto e disincantato politico, illustra il corso che prenderanno le cose, e ne prevede la placida e soffocante normalizzazione, lo spegnersi delle coscienze. Si unirà agli altri, sa che è meglio non mettersi contro Creonte: tacerà perché è rimasto solo, perché le parole che dice costituiscono un rischio sicuro per chi le ascolta, perché la sua stessa lucidità mentale lo infastidisce.
Al fine di rendere la sua accusa ancora più credibile, l'autore non disegna eroi: riveste