Eteocle e Antigone con i panni di tutti i giorni. Per renderli ancora più vicini al lettore, li spoglia di quell'aura di inaccessibilità: Espriu costruisce con i ricordi condivisi dei due un clima di dolcezza in evidente contrasto con quello della guerra e della violenza che lo circonda.
Antigone non si erge a giudice inesorabile: muore senza risentimenti, addirittura incerta che la sua fine sia giusta e augurandosi che il re, anzi tutti, vogliano e sappiano servire il popolo. Di contro al personaggio tradizionale, rivela una sottile capacità di riflettere sulla sorte degli uomini, una più sollecita partecipazione alle aspirazioni dei suoi concittadini.
Alla domanda: “Eteocle è fratello o nemico?” non viene data una risposta precisa.
Viene delineato, invece, con ferocia il profilo di Creonte, fomentatore di discordie, pronto a tutto pur di occupare il trono. Nel corso della tragedia sono espresse sgradevoli verità sulla lotta per il potere di entrambe le parti del conflitto: le labbra dei vinti vanno sigillate, l'onore e il titolo di restauratore della pace vanno a chi trionfa, la giustizia accompagna inevitabilmente le sue decisioni.
Accanto ad Antigone non c'è più Emone, ma una sorta di Tersite, che capisce che la ragione è con Antigone e le offre il conforto della sua solidarietà: è la solidarietà di una minoranza. La rivolta non ci sarà, ma si delinea come una possibile risposta al sopruso, la speranza non è del tutto perduta.
Si sovrappongono voci contrastanti, l'omaggio all'eroe, l'incomprensibilità del destino, la paura del nemico, la violenza della vendetta, l'incertezza del domani.