È stata un’operazione di cleaning, è stata la fiera dichiarazione della prefetta Paola
Basilone il giorno dopo lo sgombero di via Curtatone. Genet, la donna con il
poliziotto, anche se era coinvolta in prima persona, se n’è resa conto. Il giorno stesso
dichiarava: “La usano per mostrare la faccia bella di questa storia, ma la verità è che
siamo stati buttati via come una scarpa vecchia. Per cinquantacinque anni gli italiani
sono stati in Eritrea, ma non gli abbiamo fatto quello che ci state facendo voi italiani.
Non abbiamo neanche lo spazio per farci seppellire”.
Ma quella foto è simbolo anche di altro: per esempio di come l’immigrazione sia
diventata ormai una questione solo di ordine pubblico. Lo si è visto anche in piazza
nei tre giorni dello sgombero: c’erano i rifugiati africani e i poliziotti, una sparuta
rappresentanza di giornalisti, associazioni umanitarie, movimenti per la casa, e basta.
I politici, se non qualche radicale, qualche singolo rappresentante dei partiti lì a titolo
personale, erano assenti, lontani, spesso irraggiungibili perfino per una dichiarazione
al telefono. Sindaco, assessori, leader di partito, parlamentari.
Facciamo un’ipotesi. Quale politico oggi – in una campagna elettorale ormai
dichiarata e che somiglia sempre di più a una campagna di odio – si farebbe ritrarre in
compagnia di un gruppo di rifugiati? L’apartheid invocato dalla destra con sempre
più convinzione vive già nel nostro immaginario. Lo spazio simbolico vede i neri
segregati: come criminali o invasori, come poveri o vittime.
I politici hanno deciso di autosospendersi dal ruolo dell’educazione morale della
cittadinanza
Ma c’è una riflessione in più che va fatta. I politici non sono soltanto clamorosamente
latitanti nella gestione pratica della questione dei migranti. Per esempio: le famiglie
sgomberate da via Curtatone sono ancora per strada e né il comune né il governo
sembrano volersene fare carico; i migranti che attraversano la Libia vengono arrestati
e rinchiusi in disumani centri di detenzione che non sono controllati nemmeno
dall’Onu; quelli che provano ad attraversare il Mediterraneo vengono intercettati da
una guardia costiera libica che è di fatto una flotta di banditi. L’importante è però che
tutto questo non sia visibile, non ci impensierisca, non gravi sulle nostre coscienze.
Ma i politici hanno una responsabilità in più: hanno deciso anche di autosospendersi
da un ruolo importante per chi si occupa della cosa pubblica – quello dell’educazione
morale della cittadinanza. E su questo la deriva italiana è sotto i nostri occhi. Il punto
di svolta del discorso pubblico è coinciso con il momento in cui il governo ha deciso
di legittimare la retorica di attacco alle ong che si occupano (occupavano, è giusto
dire) dei salvataggi in mare nel Mediterraneo: il codice preparato dal ministro Marco
Minniti gliel’ha di fatto impedito. Insieme sono arrivate le parole del libro di Matteo
Renzi, Avanti: una complicatissima autogiustificazione per affermare “aiutiamoli a
casa loro” senza sentirsi in colpa.