YESMAGAZINE 3 | Page 8

a mettersi le giacche rock, vedi Lang Lang, o Cameron Carpenter, l’ organista con la cresta che suonava Bach. All’ inizio può anche essere visto come un accostamento affascinante ma, alla fine, stai sempre suonando Bach, che è un genio stupendo, ma non cambia nulla se gli metti una giacca diversa, è solo marketing. A mio avviso non è quello il modo per rinnovare la classica. C’ è bisogno di nuovi punti di vista da cui guardare il fenomeno: non è un caso che Max Richter sia stato lanciato dalla Fat Cat, che è un’ etichetta che si occupa principalmente di indie-rock ».
A questo punto, però, forse è meglio fare un passo indietro e chiarire cosa si intende oggi per post-classica e in che modo si differenzia dalla classica tradizionale. « La postclassica è tutta quella musica che utilizza strumenti nobili con l’ intento di scrivere qualcosa che non subisca il passare del tempo, che aspiri ad essere eterno ». Non si tratta semplicemente di dare slancio alle proprie manie di grandezza, è proprio una questione di strumenti: ce ne sono alcuni che, nonostante abbiano più di trecento anni – ad esempio: il pianoforte – se messi su un disco continueranno a suonare sempre moderni, altri invece – l’ elettronica – nell’ immediato possono sembrare futuristici ma diventano vecchi in un attimo. « Se prendi un pezzo di Michael Nyman scritto per L’ ultima tempesta di Peter Greenaway funziona ancora oggi nonostante sia uscito quasi trent’ anni fa, se ascolti i primi Depeche Mode, per quanto fossero all’ avanguardia, capisci subito che è musica degli anni’ 80. In più nella post-classica c’ è un ritorno ad un’ emotività, tipica di Chopin, Beethoven, ecc, da cui la cosiddetta classica contemporanea, quella maturata nel secondo dopoguerra, si era allontanata per andare verso una ricerca sulla timbrica e sull’ atonalità più figlia di quel periodo ».
La musica, così come l’ arte, ha sempre avuto bisogno di momenti rottura, ma poi ritrova il suo equilibrio. Per Luca è tutta una questione di oggettività e soggettività, di cui teme gli estremi: « Ai tempi di Picasso la critica aveva distrutto Bouguereau perché continuava rifarsi ai canoni classici. A quasi cinquant’ anni dalla sua morte Dalì disse:“ mentre tutti quanti noi ci arrabattavamo per trovare una nuova forma di bellezza, la bellezza stava là e la faceva Bouguereau”. L’ eccessiva soggettività o l’ eccessiva oggettività mi spaventano sempre, in un attimo si può passare dalla completa assenza di creatività al“ vale tutto”».
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