Lenny White. Un vero virtuoso, uno a cui la Fender ha dedicato due modelli signature di
chitarre, uno che ha accompagnato i Rolling Stones per tutto il tour in Giappone, che ha
pubblicato 21 dischi in 20 anni di carriera musicale, e che lunedì sera è riuscito a
trasformare il Circolo Magnolia in un locale fumoso di Downtown L.A.. E poco importa
se in un paio di occasioni ha dimenticato il testo delle canzoni (riconquistando subito il
pubblico con un sorriso sornione ed un “Meglio così, meglio non dire nulla”), perché
davanti al palco erano tutti ipnotizzati dal suo talento nell’estrarre note perfette da quella
chitarra.
Noi lo abbiamo incontrato poco prima del concerto e abbiamo scambiato due
chiacchiere con lui.
Richie, è vero che eri un bambino prodigio?
Naaa, non sono mai stato un bambino prodigio, semplicemente ho cominciato presto a
suonare.
Quanto presto?
A 5 anni ho fatto il primo tour con il pianoforte.
Ok, quindi eri un bambino prodigio. E come sei passato dalla musica classica
all’hard rock?
A 7 anni ho capito che il pianoforte con faceva per me: mi annoiava, non mi piacevano
le lezioni, ero svogliato. Nella chitarra ho visto un mondo che si apriva davanti ai miei
occhi.
Ha qualcosa a che fare con la tua passione per i Kiss?
Assolutamente sì. In quel periodo i Kiss erano davvero enormi, le loro canzoni si
sentivano ovunque. Io ero un bambino e mi vestivo come Gene Simmons, con i
pantaloni di papà e gli stivali da discoteca di mamma.
Poi è successo anche che avete lavorato insieme, tu e Gene Simmons.
Qualche anno fa mi squilla il telefono e questa vociona dice: “Ciao Richie, qui è lo zio
Gene”. Era proprio lui. È stato cliente del mio studio, Headroom-Inc, dove ha registrato
un album che si chiama Asshole. Abbiamo anche suonato insieme qualche volta, credo
di avere persino suonato la batteria in un suo pezzo, ma non sono affidabile, ho poca
memoria.
Parliamo dell’ultimo album, Salting Earth: si dice che per realizzarlo tu abbia
dovuto superare una sorta di blocco creativo durato due anni. È vero?
Assolutamente no. Io non credo affatto nel cosiddetto “blocco dello scrittore”, anzi,
credo che il processo creativo sia qualcosa di estremamente spontaneo e non vada mai
forzato. Quelli che si mettono in testa di scrivere per forza delle canzoni in quel
momento preciso, anche se non sono ispirati, allora sì che subiscono un blocco creativo,
ma io compongo solo quando ho qualcosa da dire.
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