XL, l'house organ di OPES anno 2, n°3, marzo 2020 | Page 8

Mentre il Paese è ancora chiamato al senso di responsabilità per contenere la diffusione del virus, è iniziata la stima dei danni in termini economici. Lo sport, che da solo vale l’1,7% del prodotto interno lordo italiano, si lecca le ferite. La dura e triste realtà, soprattutto per chi promuove l’attività di base, è che, quando si tornerà alla normalità, niente sarà più come prima. Anzi, c’è il rischio concreto che molte di quelle Associazioni dilettantistiche e società sportive che esaltano la funzione sociale dello sport e che, al tempo stesso, contribuiscono alla salute e al benessere dell’individuo, permettendo al sistema sanitario nazionale di risparmiare denaro e risorse, non riaprano più. Il settore, composto da 100.000 società dilettantistiche e da un milione di lavoratori, non può essere lasciato solo. Servono misure urgenti, persino più importanti e “poderose” di quelle varate con il Decreto Cura Italia, sicuramente efficaci ed efficienti e persino lungimiranti. L’obiettivo primario deve essere: donare ossigeno al movimento sportivo italiano, affinché il 34,3% della popolazione – parliamo di 20 milioni di persone che saltuariamente o in modo continuato praticano un’attività fisica o sportiva 08 – possa continuare a contare su quei pilastri del tessuto sociale che rispondono al nome di società ed associazioni sportive dilettantistiche. Il Paese non può permettersi di uscire dalla crisi con le ossa rotta, né tantomeno con un crack economico nello sport che lascerebbe in tutta Italia milioni di giovani senza la possibilità di praticare alcuna attività fisica o disciplina sportiva. In questo scenario dalle tinte foschi e cupe, però, c’è tutto un finale da redigere. Per scrivere il lieto fine, che ci permetterà di ricordare con un sorriso quegli attestati di positività impressi con un arcobaleno ed un andrà tutto bene su cartelloni bianchi o vecchie lenzuola, servono energie e risorse. Ripartire fin da ora è un obbligo, anche morale. Ritorneremo senza dubbio alle nostre passioni, alle nostre attività e alle nostre competizioni, anche se la distanza sociale e le abitudini assunte ai tempi del virus ci hanno cambiati. Sentiamo la necessità di sentirci ancora attaccati allo sport, perché per noi fa parte della vita. L’importante è che avremo al nostro fianco ancora quelle società, quei dirigenti e quegli allenatori che svolgono un ruolo fondamentale a livello sociale ed educativo.