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Una serie di quesiti che scuotono profondamente la coscienza di ogni individuo e, dunque, anche del giursta. Il diritto che ruolo assolve - rectius, sarà chiamato ad assolvere - in questo processo? In tal senso, il tema del diritto del postumanesimo è tanto più complesso, in quanto impone all’interprete attuale di ragionare su regole e su principi de futuro, calibrate su problematiche che oggi si intravedono appena, si intuiscono, ma che domani saranno certamente al centro del dibattitto scientifico. Ed allora, se ci si interroga sulle relazioni tra categorie civilistiche e prospettive future suggerite dalla postumanità, assumendo come punto di partenza e confine allo sviluppo tecnologico la salvaguardia della persona umana, vengono in rilievo, innanzitutto, le questioni definitorie (non prive di connotati di policy) e quelle legate alle tecniche di regolamentazione. Da questo punto di vista, l’intervento del giurista si colora immediatamente di crescente travaglio man mano che egli è costretto a prendere atto delle continue, profonde ed inarrestabili innovazioni della scienza e delle relative tecniche le quali, restie al confronto con i tradizionali paradigmi culturali, sembrano porre in grave (e forse irreversibile) crisi le categorie dogmatiche elaborate dal diritto civile. Il primo, ma non insormontabile, ostacolo è dato proprio dalla possibilità (meglio, opportunità) di ricondurre le nuove fattispecie nell’ambito delle consuete categorie, interrogandosi – quasi con un gioco di parole – sulla “attualità futura” di categorie ed istituti giuridici quali quelli della persona o dei diritti fondamentali. Il giurista, infatti, almeno in prima approssimazione al nuovo, è per sua natura indotto a tentare di inglobare l’innovazione nel rassicurante universo delle regole vigenti, garantendo in questo modo continuità alle stesse. D’altronde, l’affacciarsi dell’intervento del diritto in queste materie di frontiera risponde, generalmente, a tre modelli distinti: quello del diniego, quello dell’attesa e quello dell’autonomia amministrata. Eppure, non è detto che queste risposte che il diritto offre rispetto alle problematiche, pur rilevantissime, suggerite dalla ricerca scientifica di oggi siano idonee a spiegarne la ratio d’intervento rispetto alla scienza di domani, a quella scienza cioè che ha come propria pietra angolare il superamento della dimensione meramente umana. Ed allora, prima ancora di affrontare i profili strettamente tecnici, risulta necessario provare a delimitare l’ambito di quei fenomeni che possiamo ricondurre al dibattito sul postumanesimo. Ebbene, è chiaro che, prima ancora che oggetto di indagine giuridica, il tema della postumanità e delle sue correlazioni si colloca a metà tra speculazione filosofica sul futuro dell’umanità e riflessione su taluni aspetti particolarmente attuali del destino umano e del complesso rapporto, ancora in gran parte inesplorato, del vivente/senziente con le realtà artificiali. PER CHI DESIDERA APPROFONDIRE LA PARTE GIURIDICA, VI LASCIO IL LINK DIRETTO AL PDF ORIGINALE. www.comparazionedirittocivile.it/prova/files/stanzione_biodiritto.pdf Si, no … ma perchè, anche già proprio perché esistono già da diversi anni, ottimi avvocati, al 100% di intelligenza artificiale, e anche ottimi commercialisti di intelligenza artificiale … e fino a che i giudici avranno deciso il da farsi …. non mi stupirebbe, se vengono anche essi sostituiti, dall'intelligenza artificiale. “L’intelligenza artificiale, nominata anche IA, può essere definita come il settore di studi e l’insieme di tecniche, derivati dall’informatica, la cibernetica, bioinformatica che tendono a realizzare sistemi elettronici, digitali e virtuali anche di realtà aumentata, di elaborazione in grado di simulare il comportamento intelligente dell’uomo, vale a dire capaci di risolvere problemi che comunemente rientrano nel dominio dell’intelligenza umana.” Qui aggiunco personalmente che l'intelligenza umana, secondo l'art.4 della costituzione italiana, dovrebbe di natura equilibrarsi tra gli 180 Q.E. (quoziente emozionale di intelligenza misurabile per empatia geniale) e 180 Q.I. (quoziente intellettuale di intelligenza mentale, geniale e misurabile) in su fino a 220 e più. Ovvio che i più deboli di mente o gli ammalati emozionali, di basse frequenze emotive, possono essere aiutati se lo desiderano, anche se E' UN DOVERE PER OGNI CITADINO SECONDO LE PROPRI CAPACITA', PROGREDIRE MENTALMENTE/ SPIRITUALEMNE (ART.4 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA, CHE EQUIVALE ALL' ANTICENSURA DEI DIRITTI UMANI).