Viaggi in Lambretta - Mamma li turchi (2012) | Page 67
Cominciamo ad essere veramente cotti. Mattia ha male ai polpacci e al ginocchio ed io ho mal di
schiena… du’ omini distrutti. Nell’ostinarci a voler passare dalle viuzze per carpire quanto di più di
tipico avesse da offrire la città, il buon vecchio Allah ci regala l’ennesima perla. Scorgo da un pertugio
una macchina che ha tutta l’aria di essere una vecchia macchina da tipografo. Entriamo dentro
chiedendo la possibilità di scattare qualche foto e ci ritroviamo a chiacchierare per mezz’ ora con il più
abile tipografo di tutta Istanbul, capace di comporre le stampe ancora mettendo insieme una lettera
alla volta per creare la matrice, niente computer o cose simili, solo tanta pazienza ed una grande
precisione. Ci accende alcune delle macchine e noi rimaniamo a bocca aperta nel vedere la meccanica
di più di 100 anni fa tutt’ora utilizzata per lavorare. Usciti di li è l’ora della preghiera ed il muezzin
chiama tutti a raccolta: “Dio è grande, dio è spettacolare, Dio è una cosa meravigliosa, Dio bono com’ è
Dio, non ve lo perdete e venite a pregare” e noi da buoni musulmani…. verga! Nella moschea più
vicina!!! E’ la seconda volta che seguiamo la preghiera ma questa è celebrata in una moschea molto più
piccola e ci troviamo praticamente insieme agli altri che pregano. La barba ce l’abbiamo bella lunga, la
pelle ormai è ricotta dal sole del viaggio, ci mancava di fare le genuflessioni e s’era a posto ma ci siamo
trattenuti. Tutti si giravano a guardarci e ci sentivamo un pò osservati ma nessuno di loro ci ha fatto
capire che la nostra presenza era malvista, anzi, ci sono scappati anche un paio di sorrisi. Continuiamo
sul “ponte del corno d’oro” dove ci sono i pescatori di aringhe. Senza farla palloccolosa, abbiamo
percorso un sottopassaggio strapieno di gente e banchini che vendevano qualsiasi cosa, abbiamo
visitato altre due o tre moschee della zona e ci siamo diretti a colpo sicuro verso la cena. Il tipo del
giorno prima c’era piaciuto. Unico neo, la nostra vicina di tavola ( sud africana, ma bianca come una
vescia) stracciava pesantemente la minchia. Noi volevamo ordinare la carne di pollo con patate salse,
ecc. come l’altro giorno e lei: “O perché non prendete il pesce?” E noi… “O perché un tu ti fai i cazzi
tua??” E dopo un po’: “Certo siete proprio due americani con le pattine fitte…” DU PALLE! Vabeh… per
concludere la serata rimaneva un annosa questione che avevamo rimandato più e più volte…scrivere
le cartoline. Torniamo davanti al palazzo del sultano e in un angolino ci mettiamo a scriverle entrambi
con un cappellino tipico comprato il giorno stesso. Ci eravamo talmente calati nel personaggio che ora
oltre alla barba, e la pelle ricotta c’era anche il berretto con tutti i lustrini e aspettavamo a gloria un tipo
che ad un certo punto è arrivato e ci ha fatto:”Salam Aleikam” chiedendoci informazioni su dov’era
Santa Sofia. Ormai ci siamo turchizzati!
Scrivo io Mattia
Prima di rientrare alla base Marco ha un’ esigenza: ci vuole l’ alcolico tipico turco per andare a letto caldi!
Con le ultime energie rimaste cerchiamo un posto che ci riempia l’ occhio e nonostante per strada i
camerieri ci strattonassero per andare in quello o quell’ altro ristorante a bere un goccino, come per il
pranzo di ieri ci fermiamo dall’ unico che non ci considera. Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhh….
Che troiaio di liquore… dopo il primo assaggio c’ è toccato berlo tutto in un sorso per patì il meno
possibile!
Fatta anche questa è l’ ora di salutare la Istanbul notturna e tornare all’ ostello, non prima di aver
provato un nuovo brivido nel sottopassaggio: ma se per caso il treno si porta dietro un sasso???? Che
spettaolo!
Arrivati in ostello il cervello torna alla realtà. E’ un casino! Io a casa avevo solo guardato a grandi linee i
traghetti che dovevamo prendere, ma in realtà non sapevo né prezzi né orari, né avevo la certezza
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