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anche nel Veronese. Il prodotto vinicolo della provincia era così decimato, che si dovette importarne dal Modenese e per- sino dall’Ungheria. Si ricorse allora, fra non poco scetticismo, all’uso dello zolfo che diede buoni risultati e fece rinascere la fiducia negli addetti ai lavori. Ma altre calamità, con conseguente stato di allarme da parte dei viticoltori e degli enologi, andavano affacciandosi in Italia e ne troviamo le tracce sempre nelle preziose “Osser- vazioni Agrarie” dell’Accademia: la scoperta della fillossera (Phylloxera vastatrix) nel nostro Paese (a Valmadrera) e la sco- perta, pure in Italia, della peronospora viticola (Plasmopara viticola). Quest’ultimo flagello della viticoltura europea fece la sua prima apparizione nei vigneti di Tregnago, di Villa- franca e in altre parti del Veronese. In un interessante articolo sui vini veronesi di Stefano De Stefani, apparso su “Italia Agricola” del 1881, si appren- de che la produzione di vino della pianura veronese – un tempo tanto abbondante da venire esportato nelle varie pro- vince lombarde – era stata ormai decimata dalle malattie e se ne era resa perciò necessaria l’importazione da altre regioni d’Italia. Nelle “Osservazioni” del triennio 1898-1900, invece, si parla esplicitamente di crisi vinicola dovuta alla crescente diffusione della viticoltura anche in Paesi d’oltremare, come la California, l’Argentina, il Cile, l’Algeria, la Tunisia ecc. e si passano in rassegna i rimedi escogitati soprattutto in Francia. Vengono trattate anche alcune questioni vinarie relative al commercio interno dei vini veronesi: così apprendiamo che, nel commercio con la Lombardia e con le vicine città del Veneto, col nome generico di “Valpolicella” era chiamato tanto il vino della valle quanto quello della Valpantena e di Bardolino. 25