VCi - proposta vini PROPOSTA_vol2_ROMA2 | Seite 22

secoli più illustri della storia di Roma e che potrebbero esse- re, non sappiamo però se a torto o a ragione, gli antenati di quelli attuali. L’agronomo Columella (I sec.), all’inizio del libro terzo del suo trattato De re rustica (“L’arte dell’agricoltu- ra”), ha parole di grande elogio per la vite, dicendo di voler- la mettere al primo posto fra tutti gli alberi, non tanto per la dolcezza dei suoi frutti, quanto per la facilità della coltivazio- ne perché si adatta ad ogni regione e a qualunque clima (tranne quelli glaciali o torridi) e prospera bene su tutti i tipi di terreno 25) . Al tempo di Columella e di Plinio il Vecchio (I sec. d. C.) le viti erano considerate alberi anziché arbusti per lo svilup- po enorme che acquistavano quelle piante cresciute allo stato selvatico e su un terreno vergine; poi, quando il sistema di coltura divenne più razionale, le varietà si distinsero netta- mente ed ebbero nomi particolari. Fra le viti più famose, peculiari ed indigene dell’Italia, vi erano: l’Aminea (Aminnea), la più lodata e per questo messa fra tutte al primo posto; proveniva dall’Agro di Falerno, dove produceva il famosissimo vino. Aveva attecchito molto bene in tutto il Lazio e contava cinque varietà, tutte bianche: la maior, dai grandi acini, la più delicata, che voleva essere mari- tata all’albero; la minor, la vera aminnea, dai piccoli acini, più rustica e resistente alle intemperie; le geminae (gemelle), con grappoli sempre doppi che davano un vino aspro e secco; infine la lanata dalle foglie ricoperte di lanugine 26) ; la vite Nomentana, prodotta a Nomentum (l’odierna Mentana), dal «…essa prospera in pianura come in collina, e nella terra forte non meno che in quella soffice e ugualmente anche nella terra grassa e in quella magra, in quella arida e in quella ricca di umore» (Columella L. G. M., L’arte dell’agricoltura, III, 1, 4, Torino 1977, p. 169). 25) 26) Cfr. Columella, L’arte, III, 2, 9, p. 177. 21