IN SALA PROVE,
DUE ANNI PRIMA…
BY RAFFELLA V. POGGI
STEPHEN “STEVE” JENSEN
“Eccola! È arrivata”. Cerco di non farmi
notare, ma la osservo. “Nina…”. Nina, si
chiama; ha un cognome impronunciabile.
Quella testa piena di ricci biondi è una ca-
lamita per miei occhi. Se mi avvicino ab-
bastanza posso toccarli. Ieri mi ha mollato
uno schiaffone sulle dita…
Non sembra interessata alle mie proposte.
Anzi, non ha proprio capito che ci stavo
provando.
È vergine, lo ha detto suo padre. Come
cazzo si fa ad arrivare vergine a ventun
anni?
Una vergine… non me la sono fatta mai,
neppure Aileen in seconda media. Lei non
era vergine.
E quello stupido di Dalton continuava a
punzecchiare, a prendere in giro perché
Aileen Cooper non era proprio Charlize
Theron, ma me la dava e me la ridava. E
chi ero io per rifiutare? L’ho pestato per
bene, Dalton, e poi le ho date a tutti quelli
che sono arrivati a soccorrerlo. Era il mio
migliore amico e mi ha perdonato tre
giorni dopo, quando l’occhio blu ha co-
minciato a diventare verdino.
Una vergine… chissà com’è?
«Steve!»
«Sì?». Mi volto di scatto, Woody mi sta
chiamando. «Stiamo aspettando te». Ora
devo proprio sedermi alla batteria. La sala
d’incisione è piccola, lei sta per uscire, ma
UPmagazine | 26
devo toccarle i ricci: è una missione, la
mia. Deve uscire ma io sono davanti alla
porta, ho fatto il giro largo per ostruirle la
strada.
«Scusa, permesso». Cerca di scansarmi
usando il portablocco che ha in mano per
evitare il contatto con il mio corpo, non
vuole toccarmi; siamo vicinissimi. Chino
il volto e lo avvicino a quello di Nina.
Lei sfugge il mio sguardo, e si volta leg-
germente di lato.
È imbarazzata. È tutta rossa. Mi scappa da
ridere: chi cazzo arrossisce, al giorno
d’oggi? Devo trattenermi dal riderle in
faccia.
«Devo uscire, voi dovete suonare», mi
sussurra.
«Sì, infatti, stiamo per suonare, e tu che ci
fai qui?». La sto provocando, voglio vedere
come reagisce.
«Sto lavorando», risponde piccata.
«Lavorando? Che fai, le pulizie?»
«No! Lavoro per il signor Woods!»
«Woody?», chiamo, mi giro verso gli altri.
«Lavora per te, questa qui?»
«Sì, l’ho assunta per uno stage, mi sembra
di avertelo già detto», risponde Woody e
ride. Ha capito.
«Allora, Stage, resta pure», concedo, e non
mi scosto.
«Stage?! Non mi chiamo Stage!».
«Okay, Stage, ma non urlare che ti si