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Tuttomondo Magazine
citata intervista a cura di Luigi Bolognini: «Sì, e per nulla metaforico. Perché quando non era a Milano io incidevo e gli spedivo delle cassette con le mie ultime scoperte e creazioni. E lui le ascoltava mentre dipingeva e scolpiva, lo ispiravano, gli davano la carica. Quando i suoi omini ballavano, insomma, lo facevano anche al ritmo della mia musica».
Il tema dell'artista come oggetto di indagine da parte del mondo esterno - un sostanziale rovesciamento del comune "modo di procedere" - è stato anche il fil rouge della recente mostra, sempre a Palazzo Reale, avvenuta dal 21 febbraio al 18 giugno 2017, curata ancora una volta da Gianni Mercurio.
Come la celebre mostra del 2005, anche Keith Hairng. About art vantava un catalogo assolutamente notevole: ben centodieci opere (alcune di dimensioni monumentali), diverse delle quali mai esposte o addirittura inedite in Italia.
Il modo poco convenzionale ma sicuramente affascinante in cui si è deciso di instaurare un rapporto dialettico tra l'artista, lo spazio ospitante e il pubblico ha il gran merito di aver fornito in unica soluzione una sintesi tra un nuovo modo di rendere fruibile un artista al grande pubblico, stimolare un forte pensiero critico e porre lo stesso artista sotto nuovi riflettori, in cui la sua figura si sposta dal tradizionale ruolo di creatore ed entra funzionalmente all'interno del processo creativo, un risultato che probabilmente incontrerebbe l'approvazione di Haring.
Keith Haring : sotto il segno dello scrittore di muri
di Giulia Buscemi
Keith Haring aveva poco più di 30 anni quando, nel 1989, ispirato dal clima del grande giugno pisano e incoraggiato da un amico italiano che aveva incontrato nella realtà dei sobborghi newyorkesi da cui veniva, tracciò il primo segno della sua Tuttomondo su una parete esterna della chiesa di Sant’Antonio Abate a Pisa.
A metà strada tra la stazione ferroviaria e quella degli autobus, sembra che la scelta di
casuale, ma dettata dall’esigenza di arricchirne l’interpretazione.
collocazione dell'opera non sia stata del tutto casuale, ma dettata dall’esigenza di arricchirne l’interpretazione.
Erano stati gli anni di guerre combattute tra suolo vietnamita e piazze in protesta, poi quelli di Ronald Reagan e Michail Gorbačëv, gli anni delle grandi libertà artistiche impegnate a ridefinire i limiti della percezione sensoriale.
Un muro cade, un altro vacilla sotto le tinte psichedeliche del rock più nuovo riecheggiando nelle realtà urbane strizzate tra il bianco dei muri residenziali e lo sporco delle aree metropolitane.
Rabbia, dolore, speranza e nuove prospettive: i sentimenti di quelli che venivano definiti “ragazzacci”, in fondo soltanto rappresentanti dell'espressione artistica di un mondo che stava cambiando radicalmente.
Sotto gli occhi di tutti e ispirati da una società che di scrupoli cominciava a farsene ben pochi, questi ragazzi, appartenenti alla nuova generazione di writers - scrittori di muri - mettevano a disposizione tutto il loro sentimento e tutta la loro più primitiva gestualità per dare nuova forma alla grande voce che avevano dentro: erano alcune delle anime urlatrici profetizzate da Ginsberg nel suo “Urlo” di qualche decennio prima.