Tuttomondo 2018 Giacomo Leopardi | Page 13

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N. 7 - Giacomo Leopardi

Vivemmo: e qual di paurosa larva,

E di sudato sogno,

A lattante fanciullo erra nell'alma

Confusa ricordanza:

Tal memoria n'avanza

Del viver nostro: ma da tema è lunge

Il rimembrar.

La rimembranza è, appunto, la lente attraverso cui bisogna esaminare i due episodi strumentali: il primo intermezzo è, concreto, materiale, un fugato vero e proprio, invece il secondo è solo un’eco di questo, una vaga memoria, lacerata, distorta. C’è poi da considerare una curiosa coincidenza: per nome e per carattere questi due episodi richiamano fortemente il Prologo del Mefistofele di Arrigo Boito, in cui il protagonista eponimo fa il suo ingresso proprio su un pungente Scherzo strumentale, che fa da stridente contrasto colla ieratica solennità del coro precedente (Ave, Signor). La trasposizione di Goffredo Petrassi, quindi, non va a “semplificare” l’intima complessità del sublime leopardiano, ma lo interpreta con grande sottigliezza d’acume senza tuttavia svuotarlo del proprio potere. Anzi, Petrassi punta proprio sulla grande forza derivante dall’universalità delle tematiche trattate da Leopardi, andando a cavarle da «un testo che di quella angoscia fosse una sorta di sublimazione, che non si riferisse ad un evento particolare del momento, ma che lo trascendesse, e perciò si ponesse — in un certo senso — gli stessi eterni interrogativi, sempre presenti nell’uomo: che siamo, dove andiamo, da dove veniamo?».

Dopo il secondo intermezzo strumentale, in ossequio all’architettura simmetrica della composizione, Petrassi torna pazientemente a ricompattare il materiale musicale scardinato dall’esposizione della sezione centrale. Se le sezioni A e B iniziavano all’ottava e in un (ipotetico) la minore, la sezione C si apre sulla “dominante” della tonalità ma qui bassi e tenori si muovono per moto contrario, continuando ad alimentare la sensazione di disfacimento, di distorsione della rimembranza: difatti la sezione C si apre con la domanda «Che fummo?».

Questa domanda, tra l’altro, è anche l’unico elemento testuale di tutta la composizione che Petrassi ripete più volte, per rendere ancor più duro l’impatto del quesito nello spettatore. Procedendo verso la conclusione, nei pianoforti si innesca un disegno dalla meccanica stupidità, a maglie strette, che porta a una grande climax che conduce alle parole «l’ignota morte appar», ma questo attimo tremendo scema, si frammenta, prosegue in cellule ritmico-tematiche sempre più lacere ed esauste.

Il coro intona valori lunghi, gli strumenti iniziano disegni senza poi terminarli, lasciandoli interrotti, e su queste espressioni diafane si leva il canto stavolta melodico degli ottoni. Il coro termina il proprio intervento in un lungo accordo vuoto (composto da ottava, quarta e quinta, vale a dire gli intervalli maggiormente ricorrenti nella scrittura vocale del Coro di morti), lasciando all’orchestra il compito di giungere al cupo ed enigmatico finale.

(Il compositore Goffredo Petrassi)