Tuttomondo 2018 Giacomo Leopardi | Page 12

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dell’organico strumentale e vocale: violini, viole e violoncelli vengono eliminati e sostituiti da tre spigolosi pianoforti (dell’insieme degli archi permangono solo i contrabbassi), i legni vengono totalmente aboliti, l’unica sezione strumentale di nutrite dimensioni è quella degli ottoni. A completare il curioso ensemble resta la sezione delle percussioni e, ovviamente, il coro composto esclusivamente da voci maschili. Nell’evocare la suggestione dell’organico scelto da Petrassi sono eccezionali le parole del critico Mario Bortolotto: «Prima di tutto, a colpire l’ascoltatore sarà la timbrica, che lascia ogni fulgenza barocca, abolisce violini, viole, celli e legni, e si mortifica, ma quanto avvantaggiandosene, nell’opaca carnosità di una densa sezione d’ottoni, e una sezione percussiva cui vanno assegnati anche tre pianoforti e i contrabbassi».

La cosa che colpisce in primo luogo del Coro di morti è la sua formidabile architettura musicale. Ebbene, questa architettura è modellata direttamente sulle tre macro-sequenze in cui si può suddividere il testo leopardiano e ognuna di queste macro-sequenze possiede una propria caratterizzazione tematica: la prima sequenza (vv. 1-13) presenta il tema principale del componimento, vale a dire della morte che disfa ogni cosa, dopodiché, nella seconda sequenza (vv. 14-26 metà) si assiste a una brusca frattura, in cui si assiste alla contrapposizione dei vivi ai morti. La terza e ultima sequenza (vv. 26 metà-32) presenta la descrizione della morte da parte dei defunti. Su questo scheletro, come già anticipato, Petrassi crea l’architettura del proprio lavoro: dopo undici battute d’introduzione, entra il coro che espone per intero la prima macro-sequenza del poema. A ciò segue un lungo iato, un primo intermezzo strumentale (Scherzo), interrotto dalla seconda macro-sequenza cantata dal coro; dopodiché torna per un’ultima volta lo Scherzo (secondo intermezzo strumentale), seguito dall’ultima macro-sequenza corale e, infine, dalla coda. È interessante anche notare che la prima e la terza macro-sequenza (rispettivamente sezione A e sezione C) sono eguali e speculari: il Coro inizia con l’introduzione strumentale e prosegue con la sezione A (composta da episodio corale-episodio strumentale-episodio corale); la terza ed ultima parte, invece, principia colla sezione C (composta da episodio corale-episodio strumentale-episodio corale) e si conclude con una coda strumentale. Risulta quindi evidente che l’intero Coro di morti è costruito in modo simmetrico, con la seconda macro-sequenza (sezione B) che riveste la funzione dell’asse di simmetria, e infatti è preceduta e seguita da un intermezzo strumentale.

Se, inoltre, andiamo a quantificare a livello di numero di battute tutte le singole sezioni dell’opera, si potrà notare come la simmetria non è presente solo a livello organizzativo ma anche strutturale: introduzione (11 batt.), sezione A (61 batt.), I intermezzo strumentale (52 batt.), sezione B (34 misure), II intermezzo strumentale (46 batt.), sezione A (62 batt.), introduzione (11 batt.).

Nel lugubre attacco dell’introduzione, Petrassi ci propone una forte anticipazione del colore della composizione: una tinta grigia e uniforme, di grande cupezza, immediatamente tragica. Queste suggestioni cromatiche provengono innanzitutto al pianoforte del registro più grave e si procede per un processo di accumulazione di formulazioni ritmiche che principia dal III pianoforte fino ad approdare al I. Nel corso di questa accumulazione viene presentato quello che sarà sostanzialmente il motore tematico e ritmico dell’intera composizione, ripresentato ciclicamente in modo di elementare canone o con alcune varianti. Questa climax si conclude con la tremenda entrata degli ottoni, dopodiché gli strumenti scemano rapidamente ed emerge – quasi dal vuoto – il coro. La scrittura che Petrassi affida al coro è estremamente interessante: diversissima da quella dei già citati Salmo IX e Magnificat, si tratta di una scrittura connotata da particolare semplicità, spesso improntata all’omoritmia e – volendo fornire l’impressione di un canto arcaico ed eterno – ricca di quarte e quinte, sovente anche parallele. Il significato di una tale semplicità di scrittura è da ricercarsi in due motivazioni strettamente pratiche: da una parte per creare quella tinta e quell’impasto così particolare che caratterizza il Coro di morti, ma soprattutto per consentire al canto la maggiore aderenza possibile al testo. L’inizio è di una disarmante semplicità: coro a due voce, attacco in ottava di un (ipotetico) la minore, ottava che si restringe in una quinta e che dà vita a una singolare conduzione delle parti generando tre quinte parallele. Felicissima l’intuizione di aprire alle quattro voci sulla parola «morte» e con un’armonia estremamente dissonante (col forte urto do-reb) e successivamente tornare ad agglomerati di quarte e quinte. L’omoritmia, l’invenzione contrappuntistica, le quarte e le quinte parallele, sono tutti elementi desunti dalle composizioni rinascimentali e barocche, ma Petrassi non se ne avvale per creare dei facsimili “alla maniera di”; divengono materiali plastici che egli manipola per giungere a nuovi risultati, piegandoli insomma alle istanze della nuova musica.

Analoghe considerazioni possono essere compiute sui due Scherzi, in particolar modo sul primo, che consiste sostanzialmente in un fugato di stampo barocco. Dopo la patina di uniforme oscurità della prima sezione del Coro, il carattere burlesco, quasi derisorio, dell’intermezzo strumentale giunge assolutamente inaspettato. Nel suo saggio Poetiche del sublime: il Coro di morti, dalle Operette morali a Goffredo Petrassi, lo studioso Giovanni Vito Distefano compie un grossolano errore di valutazione sostenendo che «la trasposizione petrassiana soltanto apparentemente è la fedele messa in scena di una partitura drammatica predisposta nel testo leopardiano. Essa invece opera in effetti una sostanziale riduzione della complessità del testo di partenza, prendendo la via di un drastico restringimento delle opzioni tonali e stilistiche. Nell’adattamento, intanto, manca del tutto la giustapposizione di sublime-serio e dialogico-farsesco che struttura l’operetta».

Nell’operetta di Leopardi l’elemento farsesco era presente nell’episodio dialogico; avendo Petrassi parcellizzato il testo originale, decidendo di musicare solo il componimento poetico, è naturale che non potesse ficcare in bocca al coro accenti comici o grotteschi: la – mirabile – soluzione dell’inghippo è proprio l’inserimento dei due lunghi episodi strumentali. Inoltre, come sostiene il M° Alessandro Solbiati, la chiave interpretativa di questi due Scherzi va ricercata direttamente nel testo del Coro di morti: