E conomia altri settori di consumo tra cui quello alimentare, sono fortemente integrati nei tre Paesi- Usa, Canada e Messico- e avrebbero grossi problemi. Il Messico è diventato il principale partner commerciale degli Stati Uniti con circa 800 miliardi di dollari l’ anno di interscambio ed esporta, oltre alle auto, elettronica, materie plastiche e altri prodotti manifatturieri per i consumatori statunitensi, che subirebbero forti aumenti dei prezzi. Le maggiori esportazioni del Canada verso gli USA consistono in petrolio, gas e altri prodotti energetici. Il Canada è il maggiore fornitore esterno di greggio. Imporre dazi sull’ energia canadese farebbe solo aumentare i costi energetici per imprese e famiglie americane. In generale, l’ aumento dei costi dovuto a dazi generalizzati sarebbe troppo elevato per essere assorbito dai rivenditori statunitensi e si tradurrebbe in prezzi più alti di quanto molti consumatori sarebbero disposti o in grado di pagare. Secondo uno studio della National Retail Federation, i consumatori americani potrebbero perdere tra 46 e 78 miliardi di dollari di potere d’ acquisto ogni anno. I consumatori pagherebbero dai 13,9 ai 24 miliardi di dollari in più per l’ abbigliamento; dagli 8,8 ai 14,2 miliardi di dollari in più per i giocattoli; dagli 8,5 ai 13,1 miliardi di dollari in più per i mobili; dai 6,4 ai 10,9 miliardi di dollari in più per gli elettrodomestici; dai 6,4 ai 10,7 miliardi di dollari in più per le calzature e dai 2,2 ai 3,9 miliardi
Secondo una simulazione del FMI, un aumento dei dazi del 10 % negli scambi tra USA e resto del mondo toglierebbe al PIL globale 0,4 punti di crescita entro il 2026
di dollari in più per i prodotti da viaggio. Per una famiglia americana media il costo aggiuntivo potrebbe sfiorare gli 800 dollari l’ anno.
Lavoratori e aziende sarebbero danneggiati Anche la crescita dell’ economia USA verrebbe intaccata. Secondo un’ analisi del Peterson Institute for International Economics, un dazio del 10 % su tutte le merci importate dagli Stati Uniti comporterebbe per il Paese un PIL reale inferiore dello 0,9 % entro il 2026 e un aumento dell’ inflazione di 1,3 punti percentuali. Se poi vi fossero ritorsioni dalla Cina( ipotesi probabilissima), il PIL degli USA vedrebbe una ulteriore discesa di oltre lo 0,2 % entro il 2026 e l’ inflazione un aumento di 0,7 %. Secondo il Peterson Institute, il settore più colpito sarebbe il manifatturiero: i dazi sui semilavorati, se i fornitori esteri non possono essere sostituiti da fornitori locali, fanno salire i costi dei produttori finali. I dazi sull’ acciaio, per esempio, si ribalterebbero sugli utilizzatori nei settori delle costruzioni o dell’ auto. Andrebbero così deluse le promesse delle politiche protezionistiche su un aumento dei posti di lavoro e dei salari. I dazi non possono fare aumentare sia i redditi dei lavoratori che i profitti delle imprese, perché fanno salire i costi ai consumatori e ai produttori col risultato di comprimere il reddito nazionale e diminuire l’ efficienza dell’ economia. Il risultato più probabile è che sia i lavoratori che le aziende sarebbero danneggiati. Nel 2018-19, quando Trump impose i primi dazi, ne conseguì, secondo una stima della Tax Foundation statunitense, un aumento delle imposte per famiglie e imprese americane pari a 80 miliardi di dollari. Una simulazione del FMI( Fondo Monetario Internazionale) mostra che un aumento dei dazi del 10 % negli scambi tra USA e resto del mondo toglierebbe al PIL globale 0,4 punti di crescita entro il 2026. Ma gli Stati Uniti subirebbero un impatto più alto della media:-0,4 % nel 2025 e-0,6 % nel 2026. Per il resto del mondo il calo sarebbe dello 0,3 % entro il 2026.
Le armi di rappresaglia cinesi Un altro effetto negativo sarebbe frenare gli investimenti, soprattutto nel settore manifatturiero, a causa dell’ incertezza sulle politiche commerciali. Secondo l’ FMI gli investimenti negli Stati Uniti potrebbero diminuire di circa il 4 %. Infine, last but not least, le conseguenze sul piano della geopolitica. Molti Paesi, anche fra i tradizionali alleati, hanno cominciato a dubitare seriamente dell’ affidabilità statunitense e a guardare con più considerazione altri partner fra cui la Cina. La Cina, che pesa ormai circa un terzo sulle esportazioni della UE al netto degli scambi intra-UE, quasi come gli USA. La Cina dispone di potenti armi di rappresaglia: può ridurre le forniture di materie prime strategiche per la transizione energetica, non facilmente sostituibili da altre catene di fornitura( come litio, nickel, cobalto, altre terre rare come gallio e germanio), e può imporre dazi che penalizzano l’ accesso al mercato cinese da parte dei prodotti e servizi occidentali. E c’ è di più. La Cina sta dimostrando di potere fare a meno della tecnologia americana, sottoposta a restrizioni, e di sapere sviluppare strade alternative, anche più efficienti di quelle sofisticatissime e costose Made in USA. Il campo di battaglia globale di questi tempi è il primato sull’ IA e il caso di Deep Seek, fra gli altri, dovrebbe fare riflettere. www. techmec. it Maggio 2025 39