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REGARDE
WHITE EDITION
– Ciao ragazzi! Come descrivereste la vostra
musica a una persona che non vi conosce?
che volevamo dare all’album, scegliendo di lavorare
con Bob Cooper. Bob (se possibile) è forse più malato
di pedalini di noi e ha spinto l’idea che avevamo oltre
la nostra immaginazione impegnandosi ogni giorno
per dare un’identità ad ogni singolo brano.
Ciao, grazie mille per lo spazio che ci dedicate con
quest’intervista. Solitamente ci piace definirci come
“quattro ragazzi felici che scrivono canzoni tristi”, di
fatto abbracciamo più sfaccettature del genere che
più appassiona tutti, ovvero l’emo/indie/grunge di
ispirazione americana anni ’90.
– Come pensate che si sia evoluto il vostro sound
da Leavers a The Blue and You?
Leavers è stato il nostro primo full length, quindi
abbiamo cercato di dare un’omogeneità al disco a li-
vello di stesura e scrittura delle canzoni nel loro in-
sieme, da lì siamo partiti e ci siamo appassionati alla
sperimentazione sonora basando intere canzoni sul
suono che avevamo creato per scriverle. Per The Blue
and You infatti ci siamo armati di “pedalame” vario
per creare le atmosfere che avevamo in mente e tutto
si è poi sviluppato in maniera relativamente scorre-
vole. Questo ha fatto sì che il disco suonasse omoge-
neo come contenuto ma vario nella sua complessità.
– Il vostro primo album, Leavers, è stato regi-
strato in America. Per l’ultimo lavoro, invece, The
Blue and You, vi siete recati a Leeds. Come mai
avete sempre scelto di registrare fuori dall’Italia?
E che differenze avete riscontrato in queste due
esperienze all’estero?
Il fatto di uscire dall’Italia per registrare è diventa-
ta ormai un’abitudine: ci è capitata l’occasione con
Leavers e ci siamo affezionati all’idea di staccarci
totalmente dalla vita quotidiana per immergerci
esclusivamente nell’esperienza della registrazione.
Sono state due esperienze simili per questo motivo,
ma con un approccio completamente diverso se par-
liamo di produzione e recording. A Boston abbiamo
avuto la fortuna di collaborare con con Jay Maas, ico-
na nell’ambito della scena punk/hc/emo e – visti i suoi
precedenti lavori – ci siamo affidati totalmente a lui
nella scelta del sound del disco. A Leeds invece siamo
arrivati con le idee molto più chiare sul tipo di sound
– Teoricamente come nasce una canzone dei
Regarde?
Tutti cerchiamo di contribuire scrivendo qualcosa.
Da quelle bozze a volte nascono brani interi o se ne
completano altri, ma generalmente Andrea B porta la
canzone strutturata per chitarra nelle sue parti e in-
sieme lavoriamo per decidere che mood dare al pez-
zo, anche basandosi sulla linea vocale che poi chiu-
derà il pezzo; a volte l’idea cambia durante la stesura,
ma le cose che vengono più facilmente e velocemente
di solito sono quelle che si fissano e funzionano di più
in questo modo. Dopo la stesura nascono il testo e la
linea melodica di Guido che vanno a completare/ri-
specchiare l’atmosfera del pezzo.
– Avete qualche aneddoto su questo disco che
potete condividere con noi?
La cosa bella di questo disco è che ci si rende conto
di particolari dello stesso solo una volta che lo si sen-
te nella sua interezza. Durante quelle due settimane
di studio, lavorando con Bob ci ha svelato un aspetto
molto curioso, che potremmo in qualche modo asso-
ciare alla figura retorica della sinestesia: quando sen-
te un suono/insieme di suoni che per lui risulta molto
efficace, lo associa al colore blu, ed è stato un tema
frequente durante tutto il periodo visto che abbiamo
TBA
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