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convinta che un intervento diretto del Piemonte avrebbe comportato l’intervento armato dell’Austria e per reazione quello della Francia a difesa di Torino. Un’eventualità del genere avrebbe comportato l’ulteriore cessione di territori italiani alla Francia (Liguria o Sardegna) e uno squilibrio nella prevalenza inglese del Mediterraneo. Questa la ragione precisa per cui l’Inghilterra si apprestava a sostenere l’impresa azzardata e “piratesca” di Garibaldi. Ed era questo anche il motivo per cui Garibaldi cambiava diplomaticamente atteggiamento nei riguardi di Cavour, dopo la frattura dei loro rapporti seguita alla cessione di Nizza. Finanche lo storico Giuseppe Galasso ha apprezzato il comportamento opportunistico di Garibaldi in quel frangente, scrivendo che aveva «lucidamente inteso le condizioni» che potevano agevolare la sua impresa, mantenendo a ogni costo «il rapporto con Torino, per averne l’appoggio diplomatico e militare». A questo punto professor Barbero, il Garibaldi socialista, repubblicano di cui lei parla già appare come una figura sfumata e dai contorni ambigui. Non solo perché tradisce i suoi ideali, ma perché come scrive il suo compianto collega Galasso è costretto a dimostrare «di non procedere nel Mezzogiorno ad alcuna sovversione dell’ordine sociale, garantendo insieme l’opinione pubblica europea e la borghesia meridionale».
Garibaldi, temendo impedimenti e ostacoli, vince la forte inimicizia e scrive a Cavour un messaggio per coinvolgerlo nell’impresa. Convocato il 2 maggio a Bologna, incontra Vittorio Emanuele II e Cavour, illustra i piani dell’impresa, conferma l’appoggio inglese, riceve l’approvazione sotto copertura del Re e del Primo Ministro6.
Professor Barbero, l’altro suo collega Eugenio Di Rienzo, accademico esperto, direttore della “Nuova Rivista Storica”, noto docente di Storia Moderna presso l’Università “La Sapienza” di Roma, riprendendo una lettera di Massimo d’Azeglio all’ammiraglio Carlo Pellion7, conte di Persano, riporta alla luce che il vero piano affidato da Cavour all’ammiraglio era quello di condurre «una guerra non dichiarata, sotto neutralità apparente, contro Francesco II». Da quanto riportato si evince chiaramente che il Conte sosteneva un’azione illegale, contro il diritto internazionale, temendone le ripercussioni a livello europeo. Quindi, il compito di Persano non era quello dichiarato di avversare il progetto, ma di fornire assistenza a Garibaldi e a tutte le spedizioni successive di uomini e di mezzi, ponendo tutti gli impedimenti possibili alla reazione della flotta borbonica, anche al costo di continuare a corrompere gli ufficiali napoletani favorendone il trasferimento sotto le insegne della Marina dei Savoia.
Professor Barbero, come Lei riferisce, i Mille non erano Mille, ma è bene chiarire che Garibaldi è uno strumento in mano alla Gran Bretagna, affiancata da un Regno di Sardegna che agisce in maniera indegna.
Professor Barbero, il tanto vituperato legittimista Giacinto de’ Sivo si sbaglia forse quando, parlando di Cavour, afferma che era un «ipocrita istigatore di guerra civile cui fingeva di deplorare, accennava a italianità, quasi non fossero italiani i combattenti pel diritto. Per esso erano italiani e compatrioti i ribelli, i traditori e i codardi che gli vendevano la patria… »? Prof. Barbero, Garibaldi nelle sue "Memorie" così descrive l’approdo a Marsala dell'11 maggio 1860: «… la presenza di due legni da guerra Inglesi influì alquanto sulla determinazione dei comandanti de’ legni nemici, naturalmente impazienti di fulminarci; e ciò diede tempo ad ultimare lo sbarco nostro. La nobile bandiera d’Albione contribuì, anche questa volta, a risparmiare lo spargimento di sangue umano; ed io, beniamino di codesti Signori degli Oceani, fui per la centesima volta il loro protetto»10 . Professor Barbero, non la colpisce profondamente constatare che «l’eroe dei due mondi», il rivoluzionario Garibaldi, si riteneva «beniamino» di coloro i quali avevano issato in mezzo mondo la bandiera di quella Gran Bretagna che era ritenuta la più grande potenza coloniale e imperialistica al mondo, che solo da qualche anno aveva abolito lo schiavismo e il traffico di carne umana, che non esitava a passare per le armi i suoi nemici interni e esterni, che manteneva in condizioni di estrema povertà le classi proletarie, che permetteva che milioni di suoi sudditi emigrassero per la fame, che aveva un sistema carcerario tra i peggiori al mondo? Professor Barbero, non desta in Lei nessuna impressione il fatto che chi progettava di unificare l’Italia dal gioco straniero si affidava pienamente alla Gran Bretagna nel tentativo di sopraffare una legittima monarchia perfettamente italiana? Un Garibaldi non poteva andare oltre le semplici dichiarazioni di affezione, amicizia, simpatia e rivelare chiaramente quale fosse stato il ruolo degli inglesi nella spedizione anche se, come spiega ancora il suo collega Di Rienzo, la presenza della flotta inglese non solo nel mare di Sicilia era vista come una minaccia concreta sia dagli ufficiali della Marina napoletana sia da Francesco II e quasi sicuramente la decisione di approdare a Marsala era stata concordata da Garibaldi con i referenti del Governo inglese11.
E a proposito dei soldi necessari all’impresa bisogna anche qui chiarire meglio il ruolo della Gran Bretagna e della Massoneria. Infatti il 4 marzo 1861, quando l’Italia stava per essere unificata, il deputato John Pope Hennessy riaccendeva la discussione e contestava al Governo inglese di aver interferito nella vittoriosa impresa garibaldina, sostenendola militarmente, finanziariamente e diplomaticamente, mentre ufficialmente caldeggiava ipocritamente la linea del non intervento negli affari italiani. Secondo Pope le due navi della flotta inglese erano presenti nella rada del porto di Marsala col preciso compito di fornire il supporto necessario ad assicurare lo sbarco a Marsala degli uomini in camicia rossa12.
Pochi erano i dubbi sul coinvolgimento inglese nella conquista militare del Regno delle Due Sicilie; dubbi che si affievolirono del tutto quando lo stesso Pope rese nota la lettera con cui Vittorio Emanuele II aveva ringraziato il Governo inglese13. Professor Barbero, come Lei afferma, Garibaldi “socialista” non piaceva a Karl Marx. Marx ed Engels seguirono con attenzione l’azione di Garibaldi, ma solo inizialmente, anche perché sono noti i loro giudizi negativi sull’evoluzione politica italiana. E d’altronde, come poteva piacere a Marx il Garibaldi che supportato da ambienti finanziari e politici inglesi finiva per consegnare il Regno delle Due Sicilie a Vittorio Emanuele II e alla casta politico-militare dei Savoia, che trattarono il sud Italia come fosse una colonia, instaurandovi un feroce regime repressivo? Professor Barbero, anche sul fatto che la figura di Garibaldi è stata proposta più volte nella storia dalla sinistra come icona positiva – da ultimi i comunisti svizzeri – ha totalmente ragione, ma non c’è da esserne soddisfatti. Pensi quanto sia stata potente la macchina della propaganda agiografica messa in piedi dai governi liberali dopo il processo unitario, se anche la sinistra non è riuscita a distinguere il Garibaldi “socialista” da quello che consegna la conquista militare a Vittorio Emanuele II. Professor Barbero, non si può, d’altro canto, non registrare l’utilizzo strumentale che ne fece anche il fascismo. Fulvio Orsitto, docente accademico esperto di cinema, senza mezzi termini, considera la seconda fase della cinematografia, quella definita «fascista», un periodo storico in cui «la ricostruzione della storia
patria si svolge in modo funzionale agli interessi di un regime che intende essere considerato la logica conclusione del processo risorgimentale». Un Risorgimento manipolato strumentalmente al fine di nazionalizzare le masse, dato che non poteva sfuggire all’intellettualità fascista come il cinema fosse un potente mezzo di comunicazione, piegabile ad uso propagandistico, e che il potere poteva efficacemente utilizzare per indottrinare e ideologizzare le masse. Emblematica di questa maniera romantica e fantastica di rappresentare il Risorgimento è il film “1860”, diretto da Alessandro Blasetti nel 1934. Daniele Fioretti, peraltro, docente alla Miami University, non nutre alcun dubbio sulla circostanza che Blasetti non si era affatto proposto di fornire un quadro storico verosimile del Risorgimento, ma una banale celebrazione agiografica dell’epopea garibaldina con un intento smaccatamente propagandistico. Il pericolo concreto fu allora persino avvertito dal filosofo tedesco Walter Benjamin: la storia e le tradizioni erano diventate lo strumento della classe dominante, mentre compito dello storico era proprio quello di sottrarre la storia a questo tipo di manipolazione. Egregio professor Barbero, non Le sembra un ammonimento più che mai attuale.
Per finire professor Barbero, – mi riferisco ai suoi giudizi sulle “leggende truffaldine” della sua ultima visita a Napoli – si convinca anche Lei relativamente a quanto ha affermato il suo collega specialista della materia Eugenio Di Rienzo: il lavoro di ricerca degli studiosi revisionisti non accademici del Risorgimento è prezioso. Infatti, tornando a Garibaldi, su una delle questioni centrali della “avventura” in Sicilia, Di Rienzo ha affermato che la longa manus del ministero whig ha «potentemente contribuito (soprattutto ma non soltanto con un supporto economico) al successo della ‘liberazione del Mezzogiorno’», aggiungendo lucidamente «che la storiografia ufficiale ha sempre accantonato, spesso con immotivata sufficienza» un’ipotesi «che ha trovato credito soltanto in una letteratura non accademica accusata ingiustamente, a volte, di dilettantismo e di preconcetta faziosità filoborbonica».
*Socio della Società di Storia Patria per la Puglia
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