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TERZO TEMPO
Il Governo borbonico favorisce con incentivi mirati lo sviluppo di una flotta mercantile capace di importare merci dal 1838 al 1855 per un valore di quasi 89 milioni di ducati
1 T. PEDIO, L’economia delle province napoletane a metà dell’Ottocento, Lecce, Capone Editore, 1984, p. 3 ss.
2 T. PEDIO, Marina mercantile, movimento commerciale e ferrovie nella prima metà dell’Ottocento in «Bari Economica», a. XV (1980), a. XVI (1981).
3 A. GRAZIANI, Il commercio estero del Regno delle due Sicilie dal 1832 al 1858; tratto da ARCHIVIO STATO NAPOLI, Ministero delle Finanze – Amministrazione Generale Dazi Indiretti; voll. 14132 – 14149; riportato in T. PEDIO, Economia e società meridionale a metà dell’Ottocento (a cura di S.G. Bonsera), Lecce, Capone Editore, 1999, p. 75, note 1 e 2 p. 85.
4 T. PEDIO, Economia e società meridionale a metà dell’Ottocento (a cura di S.G. Bonsera), cit., p. 76.
5 P. APRILE, L’Italia è finita. E forse è meglio così”, Milano, Piemme, 2018, p. 98.
6 T. PEDIO, Economia e società meridionale a metà dell’Ottocento (a cura di S.G. Bonsera), cit., p. 76; nota n. 4, pp. 85-86.
7 Ivi, pp. 78-79; i numeri in parentesi indicano il numero di imbarcazioni costruite e armate.
8 L. RADOGNA, Storia della Marina Mercantile delle Due Sicilie, Mursia Editore, 1982.
9 Ivi, p. 86, nota n. 9.
10 A. CLEMENTE, Le comunicazioni via mare in Il mezzogiorno prima dell’Unità. Fonti, dati, storiografia (a cura di P. Malanima – N. Ostuni, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2013.
11 Ivi, p. 107.
12 L. DE MATTEO, “Noi della meridionale Italia”. Imprese e imprenditori del Mezzogiorno nella crisi dell’unificazione, Napoli, ESI, 2002; in A. CLEMENTE, Le comunicazioni via mare in Il mezzogiorno prima dell’Unità. Fonti, dati, storiografia (a cura di P. Malanima – N. Ostuni, cit., p. 107, nota n. 29
considerazione riceve nel 1954 la monografia di Cisternino e Porcaro “La Marina Mercantile Napoletana dal XVI al XIX secolo” 4.
Queste opere, che ripropongono una gloriosa pagina di storia mercantile e commerciale preunitaria, sono ritenute assurdamente tese a sviluppare anacronistici sentimenti anti-unitari in un’Italia ormai divisa in cui si ripropone drammaticamente la Questione Meridionale e laddove il divario nord-sud appare enormemente accresciuto. È proprio in questa «rimozione ossessiva», che tende a denigrare e a oscurare «tutto quello che è fuori del solco risorgimentale-sabaudo», che lo scrittore Pino Aprile, presidente del Movimento meridionalista per l’Equità Territoriale, ravvede la prova della disunità d’Italia nel suo ultimo testo “L’Italia è finita” 5.
Restano i dati dell’incremento della flotta mercantile, del commercio estero, dell’economia in genere. Dati pubblicati dal Ministero degli Interni negli “Annali Civili del Regno delle Due Sicilie”, stampati a Napoli nello stabilimento tipografico del Real Albergo dei Poveri6.
Le imbarcazioni presenti “al di qua dal Faro” al 1° gennaio 1819 risultano 2385, il 55% delle quali nella circoscrizione marittima di Napoli e il 20% in quella delle coste pugliesi. Nel 1833 le imbarcazioni risultano 3283, il 75% delle quali impegnate nella pesca e nel piccolo cabotaggio. Delle 889 utilizzate per il commercio estero solo 262 superano le 200 tonnellate. A distanza di un quinquennio, nel 1838, la flotta mercantile risulta più che raddoppiata con 6803 imbarcazioni delle quali solo 183 (2,68%) costruite e armate in cantieri navali esteri.
Il 46% delle imbarcazioni esistenti al 31 dicembre 1838 sono state costruite e armate nei cantieri navali di Napoli, Torre del Greco, Castellammare di Stabia, il 10% nei cantieri della Terra di Bari (Molfetta, Trani, Barletta, Bari… ), 339 nei cantieri della costa reggina (Reggio, Villa San Giovanni, Gallico, Bagnara, Scilla, Cannitello, Catona… ).
Nel quinquennio 1834-1838, oltre Napoli, particolarmente attivi nella produzione di imbarcazioni risultano i cantieri navali di Procida (98), Sorrento-Meta-Piano (41), Amalfi (44). Nello stesso periodo risultano attivi piccoli e medi cantieri lungo tutte le coste continentali del Regno: Gaeta (17), Resina (14), Vietri-Salerno (14), Acciaroli, Palinuro, Pisciotta nel Cilento, Fiumefreddo (14), Trebisacce (16), Brindisi, Manfredonia (16). Persino sull’estrema punta del Gargano, a Vieste, vengono costruite e armate 9 imbarcazioni in un nuovo cantiere navale.
Il forte incremento della flotta mercantile nel quinquennio 1834-38 è dovuto al notevole sviluppo industriale messo in atto dal Governo borbonico e alla forte produttività agricola, che alimentano il commercio estero e gli scambi interni. Nel 1852 le imbarcazioni della flotta mercantile raggiungono le 8884 unità per un tonnellaggio pari a 204 mila tonnellate e nel dicembre del 1860 il numero di 9848 bastimenti per 260 mila tonnellate, nonostante le requisizioni da parte del Governo dittatoriale garibaldino7.
Gli studi di Lamberto Radogna8, che confermano i dati fin qui esposti, sono importanti perché vanno oltre la fine del Regno delle Due Sicilie e attestano amaramente la decadenza della flotta mercantile napoletana nell’ultimo trentennio del XIX secolo sotto la dinastia dei Savoia: a fine secolo, nei dipartimenti marittimi della Campania, le imbarcazioni a vela si erano ridotte da 3963 a 1180, mentre nel dipartimento di Napoli i piroscafi a vapore già nel 1864 si erano ridotti da 22 a 16 dimezzando il tonnellaggio, laddove a Genova erano cresciuti a 116 unità9.
Alida Clemente ne “Le comunicazioni via mare” 10, parla di una marina a vapore del Mezzogiorno che sarà «marginalizzata da scelte politiche centrali»11 del nuovo Stato unitario, citando peraltro il recente testo di Luigi De Matteo12.