SUDONLINE
TERZO TEMPO
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Media e Sud
La cattiva televisione
di Michele Eugenio Di Carlo*
La comunicazione politica dai toni populistici, divisivi, ultimativi, definita dagli esperti di marketing politico “liquida”, tesa in maniera spasmodica alla continua ricerca di un consenso elettorale effimero, facendo leva più sull’emotività che sulla razionalità, si è fortemente insinuata nell’ambito dei social, ma si è anche avvalsa di una potente rete di media nazionali tramite i normali canali di divulgazione televisiva e alcuni dei maggiori giornali italiani, che hanno contribuito anche ad alimentare non pochi luoghi comuni e pregiudizi che presentano il Mezzogiorno con un’ottica distorta.
Da quest’ultimo punto di vista, non solo l’informazione politico-mediatica “liquida” ha fatto scuola, anche il sistema pubblico dell’informazione ha contribuito decisamente a far percepire il Mezzogiorno come un’area dalle problematiche irrisolvibili. Infatti, i docenti universitari di sociologia dei processi comunicativi Stefano Cristante e Valentina Cremonesini, in un testo pubblicato nel 2015 (La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo), hanno reso noto i loro studi statistici: il TG1 della RAI, negli ultimi 35 anni, ha dedicato solo il 9% delle notizie al Mezzogiorno e quasi solo per parlarne male: cronaca nera, criminalità, malasanità, meteo. Tralasciando le statistiche di giornali e tv di proprietà privata che mettono quotidianamente in cattiva luce il Mezzogiorno, colpisce nello studio dei due studiosi che anche il Corriere della Sera e la Repubblica abbiamo dedicato spazi esigui al Sud, passando dai 2000 articoli del ventennio 1980-2000 ai 500 del decennio 2000-2010, occupandosi quasi solo di metterne in rilievo i mali e ignorandone sistematicamente gli estesi e avanzati processi culturali nel mondo dell’arte, della musica, del cinema, della cultura in generale.
C’è una convergenza perfetta, e sospetta, tra il potere politico-finanziario nord-centrico e i media negli ultimi 35 anni.
e ignorandone sistematicamente gli estesi e avanzati processi culturali nel mondo dell’arte, della musica, del cinema, della cultura in generale.
C’è una convergenza perfetta, e sospetta, tra il potere politico-finanziario nord-centrico e i media negli ultimi 35 anni.
Tornando alla comunicazione politica “liquida”, è indubbia la preoccupazione che essa genera visto che occupa una fascia importante dell’informazione che conta, peraltro quasi totalmente accentrata nelle mani di poteri politici-finanziari di parte sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista geografico e territoriale, creando nelle popolazioni con una vera e propria operazione di distrazione di massa continue ansie, paure, incertezze, odio verso nemici spesso immaginari e nei confronti della parte debole e abbandonata del paese: il Mezzogiorno.
Buona parte della televisione italiana ha da anni inaugurato una comunicazione dominata dalla presenza di una ventina di commentatori a vario titolo onnipresenti (politici, intellettuali, giornalisti, sociologi, economisti), che impongono con un linguaggio urlato, supponente, arrogante le posizioni politiche, culturali, economiche pretese da chi finanzia, gestisce e produce il talk show televisivo. Talk show che ha, tra gli altri, il fine di produrre profitti attraverso le sponsorizzazioni.