StraNo numero Zeta | Page 38

Facile intuire lo stato d'animo della penna in quella situazione, maltrattata da dita succubi e sottomesse ad un corpo alieno. Ora serviva una via di fuga. Il piano era semplice, niente di geniale: rotolare verso la porta in cerca di una mano più altruista. Quella notte si decise, sistemò bene il tappo sulla testa e salutò le sue creature, prigioniere del quaderno con lucchetto. Il ricordo di quel sadico ammasso di cellulosa, a distanza di tanto tempo, getta ancora tristi germogli nel cuore della penna. Ma in quel momento non ci fu tempo per pensare ai sentimenti, con uno scatto la penna superò il bordo della scrivania e fu subito preda dell'attrazione terrestre. Cominciò a pregare come le avevano insegnato in fabbrica:” Speriamo che non mi uccida. Speriamo che non mi uccida. Speriamo che non mi uccida. Speriamo che non mi uccida”. Il pavimento era sempre più vicino. Vedeva il suo corpo in frantumi, punta rotta e inchiostro sparso attorno, scacciò quel pensiero per continuare a pregare :” Speriamo che non mi uccida. Speriamo che non mi uccida. Speriamo che non mi uccida”. Atterrò con violenza accorgendosene appena. Senza perdere tempo rotolò via verso il corridoio. Solo quando si calmò e smaltì l'adrenalina accusò il dolore alle ossa e la prepotenza della forza di gravità. Per fortuna era viva, libera di cercarsi un'altra mano. Il resto della storia sarebbe troppo lungo e questa penna ormai è stanca di parlare, ha la lingua asciutta e la cartuccia quasi esaurita. Essendo ben istruita sa che passerà presto a miglior vita. Adesso è vietato sprecare altro inchiostro. Chi la impugna non può far altro che assecondare il suo ultimo volere: vedere il mare e farsi seccare la punta affondata nella sabbia, aspettare una burrasca e partire con le onde verso l'altro mondo. Navigare galleggiando sull'oceano per cent'anni e anche di più.