Facile intuire lo stato d'animo della penna in quella situazione,
maltrattata da dita succubi e sottomesse ad un corpo alieno.
Ora serviva una via di fuga. Il piano era semplice, niente di
geniale: rotolare verso la porta in cerca di una mano più altruista.
Quella notte si decise, sistemò bene il tappo sulla testa e salutò le
sue creature, prigioniere del quaderno con lucchetto. Il ricordo di
quel sadico ammasso di cellulosa, a distanza di tanto tempo,
getta ancora tristi germogli nel cuore della penna. Ma in quel
momento non ci fu tempo per pensare ai sentimenti, con uno
scatto la penna superò il bordo della scrivania e fu subito preda
dell'attrazione terrestre.
Cominciò a pregare come le avevano insegnato in fabbrica:”
Speriamo che non mi uccida. Speriamo che non mi uccida.
Speriamo che non mi uccida. Speriamo che non mi uccida”. Il
pavimento era sempre più vicino. Vedeva il suo corpo in frantumi,
punta rotta e inchiostro sparso attorno, scacciò quel pensiero per
continuare a pregare :” Speriamo che non mi uccida. Speriamo
che non mi uccida. Speriamo che non mi uccida”. Atterrò con
violenza accorgendosene appena. Senza perdere tempo rotolò
via verso il corridoio. Solo quando si calmò e smaltì l'adrenalina
accusò il dolore alle ossa e la prepotenza della forza di gravità.
Per fortuna era viva, libera di cercarsi un'altra mano.
Il resto della storia sarebbe troppo lungo e questa penna ormai è
stanca di parlare, ha la lingua asciutta e la cartuccia quasi
esaurita. Essendo ben istruita sa che passerà presto a miglior
vita.
Adesso è vietato sprecare altro inchiostro.
Chi la impugna non può far altro che assecondare il suo ultimo
volere: vedere il mare e farsi seccare la punta affondata nella
sabbia, aspettare una burrasca e partire con le onde verso l'altro
mondo.
Navigare galleggiando sull'oceano per cent'anni e anche di più.