in S. Eustorgio, sempre a Milano, e la Madonna con Bambino e Santi a Grosotto
in Valtellina nel 1644, ultima data nota della sua vita, è il Cristo mesto sorretto
da due angeli presso il Capitolo del Duomo di Milano.
La sua presenza al Sacro Monte, dopo la splendida stagione del Tanzio, del
Morazzone, ed anche di Melchiorre d’Enrico e del Gherardini, si inserisce in
un momento di vuoto nella storia della pittura in Valsesia. Morto da sette anni
il Tanzio, vecchio ormai suo fratello Melchiorre, attivo a Biella e dintorni il varallese Allasina, impegnato intensamente nel Cusio il Rocca (proprio del 1640
sono i suoi affreschi dell’VIII cappella ed il quadro della Madonna col Bambino
e S. Francesco al Sacro Monte d’Orta e la notevole pala di Bagnella presso Omegna), praticamente al Sacro Monte in quel momento il campo era libero.
Tuttavia l’apporto del Chignolo non dovette essere di grande rilievo ed il
suo ciclo pittorico venne tenuto in scarsa considerazione, forse anche perché
costituito solo da un paesaggio, o, come scrisse il Bordiga «da un languido paese». Ma intanto col passar del tempo era andato anche deteriorandosi in modo
irreparabile, ancora riprodotti nel volume del Cusa.
Si provvide quindi nel 1886 (il Galloni dice nell’88) a riordinare la cappella
dandone l’incarico al pittore Francesco Burlazzi, professore della scuola di disegno di Varallo, grazie al lascito del notaio varallese Lorenzo Zoppetti. Il Burlazzi, che aveva appena rifatto gli affreschi della cappella di Adamo ed Eva, ritoccò
le statue e sostituì i rovinati dipinti seicenteschi con altri che raffigurano il deserto, le rovine di un tempio egizio e sullo sfondo del lontano orizzonte la città
di Eliopoli, meta della Sacra Famiglia che vi è raffigurata in fuga in piccolissime
dimensioni. Nel cielo dipinse un gruppo di angeli in volo, quasi a protezione e
scorta d’onore dei viaggiatori.
Secondo il gusto accademico dell’epoca, l’affresco si presenta come un gran
fondale da teatro ottocentesco, d’una scenografia un po’ oleografica e di maniera, d’un verismo archeologizzante un po’ freddo, ma corretto e non privo di
respiro, tanto da riuscire ad annullare illusoriamente il limite delle pareti. •
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