quando venne iniziato il Sacro Monte, non era un altopiano roccioso incolto
ed abbandonato, ma è documentato che era diviso fra vari proprietari. Doveva
costituire un alpeggio, o una piccola frazione di Varallo, con alcune rustiche costruzioni, come probabilmente quella documentata nell’atto di donazione del
14 aprile 1493, come existentesubtus crucem, come ho cercato di dimostrare
nel 2007 trattando delle cappelle della Pietà e della Sindone. Ma anteriormente,
come da decenni ritengo, e nessuno mi ha mai smentito, in epoca preistorica
vi doveva sorgere un castelliere gallico, come tutto porta a pensare per la tipica
conformazione orografica nella terrazza naturale, strategicamente dominante
sulla confluenza dei due corsi d’acqua (Sesia e Mastallone) per la sua difendibilità ottimale da ogni lato, anche verso nord. Tutto ciò è avvalorato dalla
presenza della grande pietra colloc ata entro una nicchia sotto il portichetto del
Santo Sepolcro, già ritenuta per secoli simile a quella che chiuse il vero Santo
Sepolcro a Gerusalemme, ma che è in realtà una stele, o menhir, testimonianza
inconfutabile di un preistorico insediamento in loco. Era quindi necessaria fin
dall’antichità più remota la presenza dell’acqua, che non poteva provenire dal
restrostante monte delle Tre Croci, a causa dell’avvallamento che lo separa dal
super parietem. Era quindi basilare il rifornimento idrico in loco, che non si poteva ottenere se non per mezzo di una cisterna. Ne consegue quindi che essa non
debba risalire solo all’epoca di fondazione del Sacro Monte, o all’età medioevale per la necessità degli alpeggi, ma molto probabilmente allo stesso castelliere
gallico, anteriore cioè all’epoca romana. Potrebbe quindi essere di mille cinquecento duemila anni piu’antica rispetto al sorgere del Sacro Monte. La qual cosa
costituirebbe una grossa scoperta archeologica per tutta la Valsesia. Oltrepassata
la cisterna e svoltato l’angolo del portichetto, s’incontrano altre due lapidi. La
prima, pavimentale, ricopre la tomba terragna di Don Alessandro Jachetti di
Agnona, rettore dei preti convittori del santuario, dottore d’ambe leggi, morto
l’11 agosto 1769, che scelse di essere ivi sepolto.
La seconda,parietale, posta tra le due finestre, in marmo scuro, è dedicata a Don
Carlo Maria Tonna, originario di Calasca nell’Ossola, già prevosto di Romagnano
dal 1790 al 1826, che, come ben noto, elargì una cospicua somma superiore alle
20.000 Lire di allora per il completamento dell’edificio degli Esercizi Spirituali del
Sacro Monte (attuale Albergo del Pellegrino) nel 1805, deceduto al Sacro Monte
nel 1827. Dalla presenza di queste lapidi tombali ne risulta che il piccolo portico
del Santo Sepolcro, tra gli ultimi decenni del settecento e la seconda metà dell’Ottocento, assunse quasi la funzione di un minuscolo cimitero elitario, riservato ad
alcuni personaggi di rilievo, sia laici che ecclesiastici, desiderosi di riposare presso
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