Zeusi pittore
Di questa finse più bella figura,…”
Se ne deduce ovviamente che doveva trattarsi di un dipinto di particolare
qualità e molto ammirato. Ed infatti nella parte introduttiva in prosa della stessa guida, come poi anche in quella di poco posteriore del 1570, tra le opere di
Gaudenzio eseguite sul Sacro Monte, subito di seguito alle statue ed agli affreschi della Crocifissione, seguendo esattamente l’itinerario di visita, viene ricordato “un Christo portato alla sepoltura depinto sotto un portico, et ivi presso
un San Francesco...”
Tutte le successive guide del Sacro Monte risalenti agli ultimi decenni del
Cinquecento, ripetono pari pari l’ottava di quella del 1566, confermando implicitamente che fino alla fine del secolo nulla era mutato al riguardo.
Anche Mons. Bascapè, vescovo di Novara, nella sua prima visita pastorale al
Monte nel settembre del 1593, nota il dipinto sotto il portico tra la cappella della Sindone e l’altare dedicato alle Stigmate di San Francesco. Infatti, dopo aver
osservato l’iniziata cappella dell’Inchiodazione alla croce, che diventerà poco
dopo quella della Salita al Calvario, così prosegue nella sua relazione: “Reditur
in atrium (cioè nel portichetto) ubi prope picta (est) imago Jiesu Christi mortui cum aliis imaginibus, m(agist)ro Gaudentio (depicta)et rete ferreo munita”.
Cioè: si ritorna nel portico ove non lontano è dipinta la figura di Gesù Cristo
morto con altre figure, dipinta dal maestro Gaudenzio e protetta da una grata
di ferro.
Si tratta di una delle descrizioni più precise che ci sia giunta, citando il Cristo
morto con altri personaggi, cioè un Cristo portato al sepolcro, come detto dalle
varie guide, riportando anche il nome dell’autore, Gaudenzio, in segno di ‘particolare riguardo, come quasi tutte le altre volte (in cui aveva osservato delle sue
opere sul Monte (nella Crocifissione in particolare) e specificando che il dipinto
era protetto da una grata metallica per salvaguardarlo da dannosi contatti ed
effusioni di devoti, da poca attenzione e poco riguardo di visitatori distratti o
rozzi, e soprattutto da sfregi provocati da persone desiderose di lasciare poco civilmente il segno, il ricordo del loro passaggio, o peggio ancora da malintenzionati. E subito viene alla mente il ricordo dell’incursione del 1518, forse proprio
in seguito alla quale venne collocata la grata.
Nel Seicento, le poche guide pubblicate nella prima metà del secolo non fanno cenno al dipinto di Gaudenzio.
Più avanti, nel 1663, il notaio varallese Giuseppe Antonio Gasparino, nel
redigere l’elenco di tutte le iscrizioni ed insegne gentilizie degli Scarognini e
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Cappella - 42