volto nella sindone, come mi ricordava compiaciuto attorno al 1950 il Contini,
aveva suscitato una straordinaria ammirazione in Ugo Oietti in visita a Varallo,
che preso dall’entusiasmo e dalla commozione vi si era inginocchiato dinnanzi.
Intanto lo stesso Contini, che era contemporaneamente Conservatore della Pinacoteca e Direttore Artistico del Sacro Monte, istituendo il Museo dello
stesso Sacro Monte in Casa Parella, vi trasferì tutto il gruppo statuario, che pochi anni dopo, con il riordino della Pinacoteca, ridiscese a Varallo.
Proprio nel 1960 Marco Rosci, pubblicando il nuovo catalogo della Pinacoteca, in un’ampia ed appassionata scheda riguardante il gruppo della Pietra
dell’unzione, lo rivela alla critica, mettendo anche in evidenza la situazione
della scultura lignea sul Sacro Monte alla fine del Quattrocento in cui esso veniva a primeggiare, e ponendolo pure in relazione con altri due analoghi gruppi
scultorei valsesiani: quello di Boccioleto e quello del Museo di Novara, proveniente da Casalbeltrame. Da allora la Pietra dell’unzione è diventata una delle
opere scultoree del tardo Quattrocento piemontese più studiata e citata, con
attribuzioni non sempre concordi. Se ne interessarono ripetutamente il Mallè
ed il Testori, Viale, Romano, la Repaci Courtois, che la ritenne opera di Giovanni Martino Spanzotti. Seguono poi nell’ ‘85 l’Astrua, la Stefani Perrone ed
il Venturoli che la situa tra il 1486 ed il ‘91, per riparlarne più ampiamente due
anni dopo, assegnandola agli scultori milanesi Giovanni Pietro e Giovanni Ambrogio De Donati, da lui riscoperti ed assai attivi nel Piemonte orientale. Con
questi studiosi bisogna ricordare il Gentile, la Guglielmetti, il Villata ed ancora
Paolo Venturoli che nel 2007 avanza nuove attribuzioni anche sul Sacro Monte
ai fratelli De Donati, ai quali ormai l’affascinante gruppo scultoreo viene pressoché unanimemente riconosciuto.
Oggi, restaurato con particolare cura, il complesso della Pietra dell’unzione, così intimo, raccolto e suggestivo, campeggia con tutto il suo fascino nella
seconda sala della Pinacoteca varallese, rivelando la sua altissima qualità, vero
capolavoro della scultura lombardo – piemontese del tardo Q