“E se il tutto volessi racontare
Di questo Tempio, e la bellezza e 1’arte,
Le statue, le pitture, e 1’opre rare,
Saria un vergar in infinite carte:
Che non han queste in tutto il mondo pare,
Cerchisi pur in qualsivoglia parte,
Che di Fidia, Prasitele, e d’Apelle
Ne di Zeusi non fur 1’opre sì belle”
Tale testo sarà ripetuto per tutto il Cinquecento nelle successive ristampe
della Descrittione. Intanto anche Galeazzo Alessi, attorno al 1558, quindi poco
dopo la prima edizione della guida del Sesalli, nella parte introduttiva del «Libro dei Misteri», nell’esporre il suo progetto di ristrutturazione generale del
Monte, non può non manifestare la sua ammirazione per la scena gaudenziana
del Cristo in croce scrivendo: “et mi pare chè 1 Scultore et Pittore habbia benissimo espresso questo misterio con dimostrar’ la figura del Redentor n(ost)
ro, tutto piagato et vergato di sangue, et appresso la figura di Maria Vergine, chè
come morta si lascia cadere: nelle braccia dell’afflitte sue Compagne, che veramente non può anima fedele mirar’ con occhi asciutti, la gran turba de manigoldi, che Cristo d’ogni parte straccia e percuote..., et in vero questo è un misterio
fatto molto bene, et con giuditio; et perciò non mi pare aggiungervi cosa alcuna,
salvo riformare la vitriata...”.
Non molto dopo con i due scritti di Gian Paolo Lomazzo: Trattato dell’arte
della pittura (1584) e Idea del tempio della pittura (1590), si entra nel campo
ufficiale della trattatistica d’arte del secolo XVI. Il Lomazzo pittore e scrittore
lombardo, entusiasta ammiratore di Gaudenzio, che considera suo maestro, fa
ripetuti riferimenti, talora veramente illuminanti, sugli affreschi del Calvario.
Dopo di lui, nell’ ultimo decennio del secolo, in campo del tutto diverso, è il
Vescovo di Novara, Carlo Bascapè, che nella sua prima visita pastorale sul Monte di Varallo (1593), nella relazione redatta per precisare lavori, ristrutturazioni
e modifiche da apportare in tutto il complesso, giunto alla cappella di Gesù sulla
croce, non può trattenersi dall’osservare che essa è “amplamatque ornatissimam
sculpturis picturisque m(agist)ri Gaudentii“.
All’inizio del Seicento il celebre pittore manierista Federico Zuccari, nel suo
libro il Passaggio per 1’Italia del 1606, ricorda come nel 1603, terminato d’affrescare il salone del Collegio Borromeo di Pavia, ove aveva illustrato la Vita
di San Carlo insieme all’altro ben noto pittore manierista Cesare Nebbia, ”il
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