collocazione così marginale, mentre venivano invece attratti dalle altre in piena
azione. Esse appaiono come casuali passanti, appena appena entrati nell’aula
con i tanti pellegrini: due figure quindi di vero e proprio collegamento tra la
folla delle statue e quella viva a rendere ancor più stretto e forte il legame, la
continuità fra le une e le altre. Sono due personaggi assai caratteristici e quasi fra
loro contrapposti: l’uno con lunghe vesti, barba e capelli prolissi; l’altro pelato,
sbarbato e sdentato, con veste corta al ginocchio: l’uno quindi vestito all’antica,
all’apostolica, l’altro alla moderna. Il Butler con lunga disquisizione pensa che
debbano raffigurare il primo Leonardo da Vinci ed il secondo il pittore Stefano
Scotto, secondo la tradizione, già maestro di Gaudenzio a Milano in anni giovanili. È indubbio che il personaggio dalle lunghe chiome richiami il volto di Leonardo, derivato forse dal Platone di Raffaello nella Scuola d’Atene in Vaticano,
così come è pure indubbio che il volto scavato e rugoso dell’altra figura è un
diretto tributo, una diretta derivazione dalle tante teste senili studiate spietatamente da Leonardo in numerosi suoi disegni, tanto da trasformarle poi in vere
ed esasperate caricature.
La sequenza dei vari gruppi e delle varie figure doveva dare ai pellegrini l’impressione di scoprire gradualmente tutta la realtà del dramma del Golgota, dei
vari elementi, dei vari episodi ricordati dalle narrazioni evangeliche, di poterli
osservare, di poterli meditare uno per uno, prima di cogliere al vertice il Cristo
crocifisso e di sentirsi avvolti d’ogni parte e totalmente coinvolti dallo scatenarsi del dramma.
Ma nell’Ottocento, da quando cioè si entra frontalmente nella cappella, il
contatto è certo più immediato, più traumatico, ma anche più d’effetto, più
esteriore e spettacolare, e l’aspetto più intimo, più meditativo, più profondo,
più carico di sentimento voluto da Gaudenzio è stato in parte compromesso.
Quante sono le statue che il maestro ha realizzato per rendere con grandiosa
efficacia questo mistero? L’impressione è di un numero notevole, già calcolato
dal Fassola nel Seicento “da trenta in trentacinque” e di ventisei per il Butler
alla fine dell’Ottocento. Ma un numero esatto è difficile da definire: un gruppo
equestre vale per uno o per due? E una madre con un bimbo in braccio? Un
cagnolino può contare per una statua? Conta in realtà assai di più che per la
loro distribuzione sapiente, sciolta, che dà un senso di naturalezza, si ottenga
il risultato di una folla assai numerosa, disposta a ventaglio, a semicerchio, con
l’effetto ottico di essere distribuita entro una struttura absidata.
C’è una grande orchestrazione di figure, di gruppi articolati, distribuiti con
esperta regia, come aveva fatto un decennio prima, in campo esclusivamente pit531