a semicerchio, addossata alla parete di fondo, da una porticina all’altra, come
nella cavea di un teatro antico, per ampliarsi con ampio respiro su tutta la superficie dell’aula con la turba reale dei fedeli: creature vive dunque, che completano
con la loro partecipazione, con la loro reazione istintiva, con i loro sentimenti
più palpitanti e più intimi, con la loro stupefatta presenza, i gruppi statuari delle
madri dolenti, degli sgherri, dei soldati romani, dei curiosi, plasmati da Gaudenzio in terracotta.
Il tutto poi si espande in dimensioni planetarie con una coralità che investe
cielo e terra con l’affresco, steso per la prima volta in assoluto con un’unica
raffigurazione su tutta la superficie, dalla sommità della volta fino a terra, senza
soluzioni di continuità.
È quanto mai verisimile che mentre si va erigendo la struttura muraria, tra il
1518 e il 20 circa, Gaudenzio , soprattutto nel periodo invernale, quando non è
possibile eseguire degli affreschi, abbia incominciato a modellare le prime figure,
i primi bozzetti, alternandoli all’esecuzione di pale d’altare, di trittici e polittici.
È pure assai probabile, per non dire quasi certo, che abbia modellato le prime
statue non tanto nella sua bottega, giù in Varallo, ma molto più verosimilmente
in qualche umile edificio del “super parietem” , forse presso la residenza dei frati,
o in qualche casupola o cascinale, che ancora si scorge nelle varie raffigurazioni
cinquecentesche del Monte ed anche in successive incisioni (un piccolo edificio
per esempio si nota nell’incisione che accompagna il libro del Fassola (1671)
entro lo spazio occupato successivamente dalla navata della Basilica). E sarebbe
quanto mai prezioso poter documentare il luogo dove si trovava il forno: forse
in un vano scoperto poco più di trent’anni or sono da padre Francesco, dietro la
cucina della residenza degli Oblati.
Così, attorno al 1520, giunta a compimento la parte architettonica dell’edificio (priva però d’intonaco tutta la superficie interna, da rivestire successivamente di affreschi) è da pensare che Gaudenzio abbia trasferito nell’aula spoglia le prime figure già modellate e con grande slancio abbia plasmato tutto il
complesso statuario con l’aiuto dei suoi allievi. Non certo una grande schiera,
non più di tre o quattro, tra cui si può ritenere che già ci fosse a fare le sue prime
esperienze il figlio Gerolamo, e poi, dal 1521, come ben noto, anche Giuseppe
Giovenone di Vercelli. Né è da escludere che vi abbia collaborato anche Fermo
Stella, in quegli anni molto legato a Gaudenzio per l’ancona di Morbegno in
Valtellina.
Nell’ideare il complesso statuario Gaudenzio deve aver pensato per prima
cosa alle figure di maggior importanza: alla loro distribuzione nello spazio, al
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