controriformistica, non si accontenta solo di quei richiami letterari adatti esclusivamente per persone colte ed attente; esige dei riscontri più diretti, più immediati, di maggior impatto per i devoti riguardanti, con la illustrazione di vere e
proprie scene figurate, emergenti con effetto sorprendente nella vastità aperta
del cielo, più facili da cogliere e mantenere con la memoria visiva.
Al Morazzone tocca il compito di dare avvio a questo nuovo ed inedito aspetto iconografico/didattico, a questa nuova regia, proprio sulla soglia del secolo
XVII. Situazione che diventerà poi consueta col Tanzio, con suo fratello Melchiorre, col Rocca, col Gilardini ed ancora coi Montalti e col Gianoli; ossia sostanzialmente per quasi tutti i cicli pittorici di ampio respiro del Sacro Monte
lungo l’arco dell’intero Seicento.
Le tre scene bibliche, inquadrate entro complessi e sontuosi cartigli, svolgono
un ruolo parallelo, una funzione celebrativa analoga a quella di drappi ed arazzi
sciorinati da balconi e terrazze, o appesi agli archi trionfali di parata, eretti temporaneamente, secondo la spagnolesca, assai diffusa consuetudine del tempo,
per feste sacre e profane, cerimonie, ingressi di sovrani nelle varie città.
Ognuna delle rievocazioni bibliche, espressa con limpida narratività, campeggia sull’alto delle tre pareti, circondata e quasi sospesa tra un tumultuante
movimento di nubi dense e tempestose, animate da angeli turbinanti e dolenti,
ora aggrappati, ora reggenti i cartigli stessi, mentre altri angeli in volo largo e
vorticoso, recano lunghi e svolazzanti filatteri, quasi un intreccio, una trama che
collega tra loro gli episodi biblici in un travolgente insieme.
Chiari spunti manieristici con evidenti echi michelangioleschi si fondono
con derivazioni gaudenziane della vicina cappella del Calvario, Il Morazzone
crea così, con questo stupefacente partito, come una greve e complessa corona,
sospesa a mezz’aria, che incombe sulla sottostante scena, diffondendo un’atmosfera angosciosa, satura di drammaticità, come una sconvolgente, impressionante, improvvisa apparizione apocalittica, che si riverbera su tutta l’azione, quasi
serrandola sotto una plumbea cappa.
Ne deriva un nesso unitario strettissimo, senza soluzione di continuità. Con
lance, alabarde, aste, stendardi che toccano le nubi incombenti e si legano con i
filatteri degli angeli turbinanti, dilaga il corteo della folla tumultuante, dei guerrieri nei pittoreschi costumi esotici in cui il pittore può dar sfogo all’esuberanza
della sua fantasia in una serrata unità compositiva nell’intrecciarsi strettamente
e con sorprendente disinvolta scioltezza con la predisposta parte plastica.
Ne risulta una coralità superba, vitale, come una lunga pellicola, quasi un filmato.
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Cappella - 36