Ne risulta in conclusione con chiarezza che il ciclo pittorico della Condanna
venne eseguito tra la primavera del 1614 ed il 1616, con qualche appendice per
ritocchi e completamenti nella prima metà del 1617.
Non è pertanto accettabile la datazione al 1611-12 sostenuta dal Manni e
nemmeno quella, limitata al 1614, pubblicata nella mia guida del Sacro Monte.
Gli affreschi del Morazzone - Il disegno preparatorio - La grata lignea I restauri
Nell’intervallo tra i dipinti dell’Ecce Homo, conchiusi nella loro parte essenziale nel 1613, e l’inizio di quelli della Condanna (1614), il Morazzone, pur
accettando ed assolvendo nuovi, importanti impegni, doveva anche aver cercato
di tener fede in qualche modo al contratto stipulato a Varallo per il suo terzo
ciclo di affreschi, almeno ideando mentalmente la composizione generale della
nuova impresa. Inoltre gli ordini vescovili del 1612 e del 1614 devono aver dato
precise disposizioni a cui attenersi. Ed infatti una certa distanza temporale, una
certa evoluzione può osservarsi nella nuova cappella rispetto a quella dell’Ecce
Homo. È per altro assai diverso il contesto ed il pittore lo sviluppa in modo autonomo. Manca qui innanzi tutto l’apparato architettonico vero della grande
loggia di fondo e la distribuzione della scena su due piani.
Mentre nell’Ecce Homo i fabbricati imponenti e complessi, che circondano
il cortile d’onore, incombono su di esso con le strutture murarie poderose e
rossicce per i mattoni a vista, le logge e le balaustrate, qui nella Condanna il Morazzone concepisce un fondale architettonico con elementi più agili, più ariosi
e scattanti nel ritmo delle arcate a tutto sesto per dilatare la spazialità dell’aula,
mentre spalanca la volta con un ampio semicerchio in un cielo vastissimo, terso
e luminoso, pieno di respiro. Si pone cosi quest’apertura quasi come un prototipo, un punto di partenza, per le successive architetture auree nei cieli del Tanzio.
Entro ed attorno questa intelaiatura architettonica si sviluppa e ribolle l’onda umana travolta dalle passioni. Anche qui statue del d’Enrico e figure affrescate si fondono in un’unica, tumultuante massa scatenata, moltiplicando l’effetto
di una folla innumerevole.
Sulla parete di fondo in particolare la turba dei giudei porta il dramma all’esasperazione esibendo la croce, le scale ed altri strumenti della passione, ossia
l’arma Christi, non però raffigurati, o quasi elencati singolarmente, ognuno a sé
stante, come di consueto, ma presentati con maggior eloquenza nel loro contesto più logico ed immediato, nella loro più vera e crudele funzione nelle mani
agitate dei persecutori. Più pacato il clima sulla parete di destra con personaggi
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Cappella - 35