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Racconti di periferia
“ Nei suoi occhi non ci sono panni stesi al sole, ma soltanto ombre di sbarre di periferia”, pensò David.
Faceva il reporter. David e la sua Nikon avevano deciso di andare in pensione con un servizio fotografico memorabile. Molti suoi colleghi erano partiti per luoghi quasi inaccessibili; Antonio Armenise, il suo più caro amico( era già tanto nel suo ambiente averne uno di quella portata e sincerità), era andato a scattare foto in Tibet! lui, invece, aveva pensato saggiamente che le cose interessanti non sono tali in quanto lontane. No. Come aveva argomentato bene il francese … Come si chiama? Ah, Proust. È lui che David ammirava fra tutti gli‘ scribacchini’ in circolazione( da quando suo nonno l’ aveva‘ beccato’, aveva avuto sì e no undici anni, a scrivere il suo primo‘ romanzo’ e lo aveva definito con un sorriso‘ scribacchino’, per David tutti gli scrittori erano, con affetto, tali: scribacchini).
Comunque, la frase ultra conosciuta di Marcel Proust e alla quale il vecchio reporter era affezionato era, ovviamente,“ Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’ avere nuovi occhi”. Oddio, parlare di nuovi occhi, nel caso di David, era una forzatura. Un po’ perché non era un pischello, un po’( forse molto ma molto più di un po’!) perché un’ affezione oculare in corso lo faceva bestemmiare. Tuttavia, scattò delle foto incredibili. E la scattò anche a quel bimbo attaccato al cancello di metallo. David, senza andare in Tibet, la verità, l’ aveva trovata e fotografata sotto casa. E quel bimbo era verità e urlo: fatemi uscire! Sembrava pregare.
Nel suo girovagare per la periferia della grande città, David aveva notato distese di panni stesi al sole. Ne era rimasto affascinato. Un sole che sapeva di terra lontana. Di periferia estranea, ma capace di asciugare con cura il bucato lavato con detersivo senza marca. Un bucato pulito. Pulito in tutti sensi: sgombro anche dalle fesserie che impastano nelle