Più interessante è il suicidio della
Mademoiselle che, pur inquadrandosi
in un contesto di una certa furberia
narrativa, è molto ben costruito.
Horror e quanti siano i livelli di lettura
di questa pellicola per chi non desidera
fermarsi esclusivamente all’impatto con
la violenza visiva e psicologica.
Mademoiselle, infatti, è nella sala da
bagno, davanti allo specchio. Così
come Anna è stata spogliata della
propria immagine esteriore, anche
Mademoiselle si spoglia della propria
apparenza. Si strucca, si toglie il
turbante, si leva le ciglia finte e la
parrucca e infine si spara in bocca.
La regia di Laugier è accurata e
perfettamente confacente alla storia
narrata. La sua ricerca estetica è di
alto livello. E’ inutile in questa sede
descrivere la bellezza di alcune scene
come quella del suicidio di Lucie, se
ne consiglia semplicemente la visione
senza altro aggiungere.
“Etienne, sapreste immaginare che cosa c’è
dopo la morte? Dubitate, Etienne!”, queste
le sue parole prima di tirare il grilletto.
Il capo dei carnefici diventa vittima ed è
stata Anna a renderla tale. Un fulmineo
ribaltamento dei ruoli. Il suicidio di
Mademoiselle è la società che muore,
quella società che necessitando di
martiri dissemina il mondo di vittime.
E’ ammirevole anche il richiamo estetico
dell’iconografia medievale adattata in
chiave moderna. Come non ricordare,
ad esempio la statua di San Bartolomeo
conservata nel Duomo di Milano.
Una sorta di continuità della crudeltà
umana che attraversa i secoli e che
elabora tecniche sempre più sofisticate
per procurare dolore e sofferenza ai
propri simili.
A questo punto è chiaro quanto l’opera
di Laugier sia riuscita ad andare al di
là dei canoni e dei confini del cinema
Inoltre, il regista riesce ad affrontare,
attraverso le immagini e sotto un
profilo quasi esclusivamente estetico,
IT’S SHINY
38
MAGAZINE
la tematica della trasformazione
attraverso la sofferenza. Una
sofferenza che non è mai salvifica
indipendentemente che trasformi la
persona che la subisce in una vittima,
in un martire o in un carnefice. Il corpo
umano si riduce a semplice carne, a un
insieme di materiali organici, oggetto di
esperimenti alla stregua di un blocco di
marmo in mano a uno scultore.
Pascal Laugier ci offre una prova
perfettamente equilibrata, visivamente
elegante ed emotivamente disturbante,
non priva di poesia e di malinconia.
Le due attrici protagoniste sono
magnifiche.
Mylène Jampanoï, già vista sugli schermi
italiani ne I fiumi di Porpora 2 (2004)
e nell’ottimo 36, Quai des Orfèvres
(2004), è semplicemente fantastica e
riesce ad essere bella e seducente anche
in un ruolo che davvero non esalta le sue
qualità estetiche. La sua interpretazione
è capace di trasmettere allo spettatore
tutto il tormento interiore e tutta la
sofferenza del personaggio.