SHINY MAGAZINE ITA 0 | Page 39

Più interessante è il suicidio della Mademoiselle che, pur inquadrandosi in un contesto di una certa furberia narrativa, è molto ben costruito. Horror e quanti siano i livelli di lettura di questa pellicola per chi non desidera fermarsi esclusivamente all’impatto con la violenza visiva e psicologica. Mademoiselle, infatti, è nella sala da bagno, davanti allo specchio. Così come Anna è stata spogliata della propria immagine esteriore, anche Mademoiselle si spoglia della propria apparenza. Si strucca, si toglie il turbante, si leva le ciglia finte e la parrucca e infine si spara in bocca. La regia di Laugier è accurata e perfettamente confacente alla storia narrata. La sua ricerca estetica è di alto livello. E’ inutile in questa sede descrivere la bellezza di alcune scene come quella del suicidio di Lucie, se ne consiglia semplicemente la visione senza altro aggiungere. “Etienne, sapreste immaginare che cosa c’è dopo la morte? Dubitate, Etienne!”, queste le sue parole prima di tirare il grilletto. Il capo dei carnefici diventa vittima ed è stata Anna a renderla tale. Un fulmineo ribaltamento dei ruoli. Il suicidio di Mademoiselle è la società che muore, quella società che necessitando di martiri dissemina il mondo di vittime. E’ ammirevole anche il richiamo estetico dell’iconografia medievale adattata in chiave moderna. Come non ricordare, ad esempio la statua di San Bartolomeo conservata nel Duomo di Milano. Una sorta di continuità della crudeltà umana che attraversa i secoli e che elabora tecniche sempre più sofisticate per procurare dolore e sofferenza ai propri simili. A questo punto è chiaro quanto l’opera di Laugier sia riuscita ad andare al di là dei canoni e dei confini del cinema Inoltre, il regista riesce ad affrontare, attraverso le immagini e sotto un profilo quasi esclusivamente estetico, IT’S SHINY 38 MAGAZINE la tematica della trasformazione attraverso la sofferenza. Una sofferenza che non è mai salvifica indipendentemente che trasformi la persona che la subisce in una vittima, in un martire o in un carnefice. Il corpo umano si riduce a semplice carne, a un insieme di materiali organici, oggetto di esperimenti alla stregua di un blocco di marmo in mano a uno scultore. Pascal Laugier ci offre una prova perfettamente equilibrata, visivamente elegante ed emotivamente disturbante, non priva di poesia e di malinconia. Le due attrici protagoniste sono magnifiche. Mylène Jampanoï, già vista sugli schermi italiani ne I fiumi di Porpora 2 (2004) e nell’ottimo 36, Quai des Orfèvres (2004), è semplicemente fantastica e riesce ad essere bella e seducente anche in un ruolo che davvero non esalta le sue qualità estetiche. La sua interpretazione è capace di trasmettere allo spettatore tutto il tormento interiore e tutta la sofferenza del personaggio.