SHINY MAGAZINE ITA 0 | Page 30

pubblico dalle dimensioni anni fa impensabili, deve fare i conti. E sono quaranta minuti insensati, messi in scena comunque con una padronanza che non era certo scontata. Gli attori, poi, pur alle prese con dei personaggi di carta velina, rendono tutti alla grande, fra Kurt Russell che si diverte come uno scemo, The Rock che parla come un generatore casuale di battutacce alla Schwarzy dei tempi d’oro, Tyreese sempre più azzeccato come scemo del villaggio e Vin Diesel che sbava con gli occhi lucidi mentre tenta disperatamente di far esplodere la canotta. È l’apoteosi del film cafone, ma che riesce comunque ancora a conservare un po’ del suo spirito sincero, senza abbandonarsi del tutto alla bassa furbizia. Dovunque ti giri c’è una gag adorabile, fra i due matti che vanno di frontale ogni volta che si vedono, Dom che si sposa in canotta, le nuove tecniche per la gestione di un braccio ingessato, l’approccio di The Rock alla guerra coi droni e quei due o tre momenti che, nonostante tutto, nonostante il riciclo, nonostante si sia ormai al settimo film, ancora sanno lasciarti a bocca aperta. È anche un film che continua a portare avanti il suo assurdo ma adorabile inseguire la continuity, rincorrendo riferimenti di ogni tipo per dare davvero il senso di stare chiudendo un’era, come in fondo è giusto che sia, vista anche un po’ quella faccenda che percorre ogni fotogramma e che viene presa di petto tanto bene nel finale. E poi c’è Jason Statham, che è un capitolo a parte. Che sarebbe stato il primo cattivo realmente munito di carisma della serie era ovvio, forse meno scontato era aspettarsi di vederlo mangiarsi il film a quella maniera ogni volta che appare. Soprattutto se si considera, poi, il modo in cui viene usato: una specie di terminator col teletrasporto, che appare a caso quando serve, semina distruzione e poi si ritira di buon ordine. Fa impressione vedere quanto riesca a spiccare in queste condizioni e viene la voglia di vederlo tornare in un seguito che sappia sfruttarlo meglio. O, magari, che venga posto nelle condizioni di poterlo fare. Perché poi, forse, il punto è anche un po’ lì: l’impressione è che questo sia il miglior Fast & Furious IT’S SHINY 29 MAGAZINE 7 possibile alla luce di un po’ tutte le faccende che gli sono ruotate attorno, non solo per Paul Walker, ma anche tenendo conto del cambio di regista, delle prospettive sempre più sparate verso l’alto della serie, del fatto che, per come erano stati impostati gli ultimi episodi, è ormai diventato categorico fare sempre qualcosa di più grosso. È un po’ come Tom Cruise che in ogni Mission: Impossible deve salire più in alto e, avendo finito i palazzi, s’è fatto attaccare a un aereo in decollo. Il percorso ormai è quello e non te ne devi staccare. Tra l’altro, il riferimento non è casuale: per la sesta volta Fast & Furious ha sostanzialmente cambiato genere da un episodio all’altro e questa volta siamo entrati in zona Ethan Hunt. Come andrà alla prossima? Non lo so, però quel che so è che, pur con tutti i suoi limiti e col timore che le cose potranno solo peggiorare, Furious 7 è ancora una volta uno spacco incredibile. E l’idea che un film del genere stia incassando quel che sta incassando, beh, scalda il cuore. Avanti così. Andrea Maderna giopep.blogspot.it