pubblico dalle dimensioni anni fa
impensabili, deve fare i conti. E sono
quaranta minuti insensati, messi in
scena comunque con una padronanza
che non era certo scontata. Gli attori,
poi, pur alle prese con dei personaggi di
carta velina, rendono tutti alla grande,
fra Kurt Russell che si diverte come
uno scemo, The Rock che parla come
un generatore casuale di battutacce
alla Schwarzy dei tempi d’oro, Tyreese
sempre più azzeccato come scemo
del villaggio e Vin Diesel che sbava
con gli occhi lucidi mentre tenta
disperatamente di far esplodere la
canotta.
È l’apoteosi del film cafone, ma che
riesce comunque ancora a conservare
un po’ del suo spirito sincero, senza
abbandonarsi del tutto alla bassa
furbizia. Dovunque ti giri c’è una gag
adorabile, fra i due matti che vanno
di frontale ogni volta che si vedono,
Dom che si sposa in canotta, le nuove
tecniche per la gestione di un braccio
ingessato, l’approccio di The Rock
alla guerra coi droni e quei due o
tre momenti che, nonostante tutto,
nonostante il riciclo, nonostante si sia
ormai al settimo film, ancora sanno
lasciarti a bocca aperta. È anche un
film che continua a portare avanti il
suo assurdo ma adorabile inseguire la
continuity, rincorrendo riferimenti di
ogni tipo per dare davvero il senso di
stare chiudendo un’era, come in fondo è
giusto che sia, vista anche un po’ quella
faccenda che percorre ogni fotogramma
e che viene presa di petto tanto bene
nel finale.
E poi c’è Jason Statham, che è un
capitolo a parte. Che sarebbe stato
il primo cattivo realmente munito di
carisma della serie era ovvio, forse
meno scontato era aspettarsi di vederlo
mangiarsi il film a quella maniera ogni
volta che appare. Soprattutto se si
considera, poi, il modo in cui viene
usato: una specie di terminator col
teletrasporto, che appare a caso quando
serve, semina distruzione e poi si
ritira di buon ordine. Fa impressione
vedere quanto riesca a spiccare in
queste condizioni e viene la voglia
di vederlo tornare in un seguito che
sappia sfruttarlo meglio. O, magari,
che venga posto nelle condizioni di
poterlo fare. Perché poi, forse, il punto
è anche un po’ lì: l’impressione è che
questo sia il miglior Fast & Furious
IT’S SHINY
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MAGAZINE
7 possibile alla luce di un po’ tutte le
faccende che gli sono ruotate attorno,
non solo per Paul Walker, ma anche
tenendo conto del cambio di regista,
delle prospettive sempre più sparate
verso l’alto della serie, del fatto che, per
come erano stati impostati gli ultimi
episodi, è ormai diventato categorico
fare sempre qualcosa di più grosso.
È un po’ come Tom Cruise che in ogni
Mission: Impossible deve salire più
in alto e, avendo finito i palazzi, s’è
fatto attaccare a un aereo in decollo. Il
percorso ormai è quello e non te ne devi
staccare. Tra l’altro, il riferimento non è
casuale: per la sesta volta Fast & Furious
ha sostanzialmente cambiato genere
da un episodio all’altro e questa volta
siamo entrati in zona Ethan Hunt. Come
andrà alla prossima? Non lo so, però
quel che so è che, pur con tutti i suoi
limiti e col timore che le cose potranno
solo peggiorare, Furious 7 è ancora una
volta uno spacco incredibile. E l’idea che
un film del genere stia incassando quel
che sta incassando, beh, scalda il cuore.
Avanti così.
Andrea Maderna
giopep.blogspot.it