Metà della baracca era sventrata e un cordone di SS ne sbarrava l’accesso. Fece un giro largo e, fingendosi indaffarato
nello spostare alcuni sacchi di sabbia, che lasciò a terra subito girato l’angolo del caseggiato, si mosse verso una delle
finestre sul retro. Si accucciò e guardò all’interno: tavoli e
mappe erano un cumulo di macerie, sulle quali spiccavano
brandelli di divise insanguinate e resti di corpi indistinguibili; l’orologiaio era l’unico presente nella stanza e sembrava intento ad armeggiare su un corpo sdraiato a terra.
Si tratta di Hitler! si convinse Fabian. L’orologiaio è quindi
un dottore?
L’orologiaio aveva una punzoniera aperta a fianco del corpo
supino, un occhio chiuso e l’altro strizzato per reggere un
monocolo con lente d’ingrandimento. Fabian lo vide lavorare con precisione e concentrazione; come se stesse riparando un orologio utilizzava punzoni e attrezzi sottili a lui sconosciuti. Da un’asticella comparve anche una scintilla e poi
una fiammella azzurrognola prese a sfrigolare. L’orologiaio
l’avvicinò con molta attenzione al volto dell’uomo riverso a
terra.
Alle sue spalle il capitano udì dei passi. Scavalcò il davanzale
divelto con un balzo appena un attimo prima che alcune SS
girassero l’angolo. I soldati avevano la schiena rivolta alle
pareti e fecero un giro intorno alla baracca, tendendo un largo drappo scuro, probabilmente per schermare ciò che stava avvenendo al suo interno.
Fabian attese che passassero oltre, poi si alzò in piedi ed
estrasse la Lüger. Avanzò di alcuni passi, alzò il braccio armato e prese di mira l’orologiaio, il quale non sembrò minimamente accorgersi della sua presenza, nonostante il trape-
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