va.
Sbagliando si impara e spesso si muore, data la natura “roguelike” del gioco; questo vuol dire ricominciare daccapo più
e più volte. Tuttavia ogni morte non fa altro che aumentare il
desiderio di migliorarsi e di riprovare con una strategia più
definita ed efficace.
Una volta familarizzato con la visuale dall’alto e con la semplice interfaccia, inizieremo a capire che una partita a Don’t
Starve è un po’ come rivivere la storia dell’umanità con il fastforward: all’inizio saremo cacciatori-raccoglitori, sopravvivendo di bacche, carote e di qualche coniglio catturato, poi
impareremo l’importanza dell’agricoltura e infine inizieremo a modellare l’ambiente circostante, andando a cercare
i materiali più rari, necessari per dotare il nostro campo di
nuovi comfort, aumentando così le possibilità di sopravvivenza.
Naturalmente tutto questo avviene mentre confronteremo
con la fame, il freddo, i mostri, la precaria sanità mentale del
nostro alter-ego e le sempre presenti entità che ci faranno
inappellabilmente a pezzi non appena rimarremo al buio.
Insomma, Don’t Starve non è una passeggiata ma è uno di
quei giochi in cui ogni partita è diversa dalla precedente e
le esperienze soggettive del giocatore sono spesso
meglio di qualsiasi
trama.
Mi sono trovato
a raccontare agli
amici di quella volta in cui ho prova-
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