tica. Scoppiò così un inferno di fuoco. L’esplosione innescò
altre esplosioni e reazioni a catena si susseguirono una dopo
l’altra. La massa si accese e brillò, stella fra le stelle, rovente,
incandescente, luminosa. A quel punto gli infiniti e minuscoli
granelli iniziarono ad avere immagini di possibili alternative
al semplice avere. Poste determinate condizioni avrebbero
potuto separarsi, distinguersi. Il fuoco, la loro luce, avrebbe potuto espanderli e disperderli andando a nutrire nuove
forme più complesse. Ma, per qualche oscura ragione, non
vollero e preferirono avere ancora di più, avere tutto. Il loro
fuoco perciò non durò così a lungo quanto si possa pensare.
Altra materia affluì verso il loro desiderio, violento centro
d’attrazione. L’energia sprigionata dal calore non fu più sufficiente a contrastare la loro stessa bramosia di avere e ad
un tratto la massa implose, attratta da se stessa. E divenne
oscura. Divenne buia. Divenne una macchia nera nel tessuto
del firmamento. Un immenso ente indifferenziato, fatto di
identità minuscole e infime, che avevano tutte un solo scopo: avere. Lenta come l’immobilità stessa e immensa tanto
quanto l’immaginazione possa pensare, la massa non aveva nome e non aveva identità. La massa era il concentrarsi delle cose senza significato né scopo. La massa da tempo
immemore viaggiava nelle sconfinate distese dello spazio, e
assorbiva tutto ciò che incontrava al suo passaggio.
La massa ora incontra il corpo-pianeta di Eren-eren-eren e
degli altri Arconti minori e Maggiori che, senza poter fare
nulla se non accondiscendere a quella forza divina e implacabile, finiscono tutti inesorabilmente risucchiati nel buco
nero mentre ancora meditano sulle prossime stringhe che
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