prima che sentissi l’insopportabile peso all’altezza del petto che
prefigura un attacco di panico.
Dannazione, calmati è solo una maledetta biblioteca, continuavo a dirmi e stringendo i denti, riprendevo a camminare.
Come da copione, persi ogni cognizione del tempo, perciò non
sono in grado di dirvi per quanto altro tempo ancora vagai fra
gli immobili giganti di legno. So solo che ad un certo punto la
mia mano, che era appoggiata sulla costa dei libri, mi indicò che
un posto era vuoto. Controllando i titoli dei volumi che precedevano e seguivano quel vuoto, come da copione mi accorsi
che il libro che mancava era proprio quello che stavo cercando.
Eppure ero sicuro di averlo letto nella lista dei volumi che erano
stati riconsegnati.
Mi misi a ridere e scuotere la testa, rimproverandomi di aver
perso tempo e di aver perso la testa per il titolo di un libro che
probabilmente avevo letto per sbaglio fra le pagine di qualche
quotidiano, tempo addietro. Mi voltai e feci per tornare indietro,
quando vidi che non c’era alcuna via d’uscita. Nessun corridoio
secondario, nessun gioco di prospettive che nascondesse l’apertura dalla quale ero venuto. Perché ero certo di essere venuto da
quella direzione, i titoli dei libri me lo confermavano.
Invece davanti a me c’era un altro scaffale, alto e imponente, che
mi sbarrava la strada. Un vicolo cieco.
Data l’ora, considerai anche il fatto che forse la stanchezza poteva avermi giocato un brutto scherzo, perciò continuai il mio
cammino nella direzione opposta, con il solo risultato di ritrovarmi di nuovo al vuoto lasciato dalle Rovine di Alessandria. Per
qualche inspiegabile motivo, stavo girando attorno nonostante,
voltatomi di nuovo, non ritrovassi l’apertura dalla quale ero tornato. Ogni volta dietro di me, c’era quell’alto scaffale. Eppure da
quella direzione ero appena venuto.
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