scrivania, una pila di scartoffie, fogli vari e volumi rilegati in pelle consumata dal tempo, fra i quali individuai un registro. Le mie
fantasie sul vecchio bibliotecario chino su quella scrivania, con
un pennino fra le mani, le dita sporche d’inchiostro e la schiena
curva, sembrarono avere una conferma.
La mia insaziabile curiosità mi spinse ad appoggiare il registro
sul banco e ad aprirlo. Il frontespizio, scritto in una impeccabile
calligrafia, mi indicò che si trattava del registro dei libri presi a
prestito e restituiti. Tuttavia, quando continuai a sfogliarlo, perplesso e sorpreso mi accorsi che le altre pagine erano completamente intonse. Nessuna traccia di inchiostro macchiava quella
carta ingiallita dal tempo, eccetto che per un solo e unico titolo:
Le Rovine di Alessandria.
Quelle parole risuonarono subito familiari nella mia mente e per
un attimo mi ritrovai a pensare a quali remoti ricordi appartenesse quella gelida e soffocante sensazione di déjà vu. Chiusi il
registro e lo riposi al di sotto del banco, dove l’avevo trovato, cercando di resistere all’impulso di tuffarmi nei ricordi, alla ricerca
dell’origine di quel campanello che era suonato quando avevo
letto quel titolo. Mi abbandonai alla poltrona in pelle, incrociando le braccia e sollevando il capo verso l’orologio che era stato
appeso al di sopra delle porte d’entrata: segnava la mezzanotte.
Non era passato un solo minuto dall’inizio del mio turno di lavoro.
Con un sospiro, abbassai lo sguardo e lanciai un’altra occhiata al
registro. Una biblioteca così immensa, al centro di New York, e
un solo libro era stato preso in prestito? La necessità di rispondere a questa domanda prese il sopravvento sugli altri pensieri e,
quasi senza accorgermene, avevo già acceso il computer. Aprii il
catalogo alla ricerca di ulteriori informazioni, ma quando digitai il titolo che avevo letto, una finestra mi annunciò che nessun
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