Hugga
di Luigi Pignalosa
Un vento furioso sconvolgeva la sassosa pianura delle terre marce, trascinando nubi di polvere e mulinelli di sabbia. Fischi e
sibili riecheggiavano sinistri, più forti quando le furiose masse
d’aria si scontravano con le pareti a picco della Crosta del Tordo,
un altopiano solitario simile ad un isolotto nel grigio mare della pianura. La Crosta era un blocco di roccia erosa e graffiante,
alto una cinquantina di metri e completamente ostile alla vita.
Si ergeva improvviso, la sua mole era l’unica entità che spezzava
la continuità monotona della pianura. Sembrava un dente piantato in mezzo al nulla. Unico segno di vita nei paraggi, tre alberi
antichi, contorti ma vivi, crescevano alla base della Crosta, proprio nei pressi dello stretto sentiero che dalla pianura risaliva
tortuosamente il costone impervio, raggiungendo il mezzo della
sua altezza per poi scomparire, inghiottito dall’oscurità di una
grotta.
Le fronde delle tre grandi querce, simili a torri di difesa, erano
continuamente frustate dal vento. Il sole aveva ormai raggiunto
l’orizzonte e lanciava sulla desolazione i suoi ultimi strali scintillanti. Le cime dei tre alberi solitari erano avvolte da una tenue
luce dorata. Il fianco occidentale della Crosta era infiammato
dalla luce calda e la sua massa compatta proiettava una lunghissima lingua d’ombra sulla pianura. Tutt’intorno era la desolazione delle terre marce, famigerate e disabitate lande che chiunque
avrebbe evitato. Chiunque non fosse pervaso dal sacro ardore
dell’eroe.
Tre figure raggiunsero la base dell’altipiano, ammantate da mantelli sgargianti nei colori del tramonto. Si arrestarono sotto le tre
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