- Aiutami con quest’ultimo, Mackiewicz - gridò una voce maschile con forte accento russo.
Geert aprì nuovamente le palpebre per rendersi conto della situazione. Un corpo gli urtò il braccio ferito e dovette stringere
i denti per non gridare dal dolore. Osservando i cadaveri che lo
circondavano, comprese che si trattava di deportati, denudati e
forse gasati poco prima. Membri del Sonderkommando li stavano trasportando e li accatastavano vicino a lui.
Per fortuna, che ancora una volta gli sorrideva, il sole stava sorgendo alle sue spalle, quindi, con la luce negli occhi, gli uomini
al lavoro avrebbero avuto difficoltà ad accorgersi che non era
morto.
- Che cosa fai, Mackiewicz, ti muovi o no? - tuonò ancora la voce
di prima.
Geert riconobbe il nome appena pronunciato nella figura del
Kapo addetto alla selezione dei deportati della sera prima. Inclinò leggermente il capo per vedere meglio: il Kapo era in piedi,
immobile, atterrito. Stava fissando un cadavere. Geert distinse
chiaramente che si trattava della ragazza uccisa da Hahn. Era
stata anche lei denudata e, scrutando meglio intorno a sé, s’avvide che molti dei cadaveri, come la stessa Irina, avevano una garza incollata tra il bordo del seno e l’ascella. Gli fu subito chiaro
che si trattava delle cavie di cui avevano parlato prima Fuchs e
Mengele.
- Accidenti, ma è tua moglie! - urlò la stessa voce, mentre
Mackiewicz ancora non dava segno di riprendersi.
Sotto lo sguardo incuriosito di Geert, il Kapo si avvicinò al cadavere della moglie con movimenti lenti, protendendo le braccia
come se volesse toccarla ma non riuscisse realmente a farlo.
Fu in quel momento che successe l’incredibile. E tutto ciò che
avvenne dal quel preciso istante in poi, accadde molto in fretta.
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