aveva una comunissima Omas Lucens. Come diavolo aveva fatto
a procurarsela? Certamente l’aveva rubata ad uno dei deportati.
Con un moto di stizza gli requisì la stilografica e se la mise nella
tasca dei pantaloni.
Non ci furono altri problemi, il soldato Schreiber guidò lui e il
prigioniero sino al blocco 11 e Geert riconobbe immediatamente il Muro Nero, dove aveva assistito qualche ora prima alla fucilazione d’alcuni prigionieri politici.
S’incamminò deciso verso l’entrata degli uffici. Sentì uno sparo e subito dopo una fitta al braccio sinistro. Incredulo si voltò,
mentre un rivolo di sangue gli ruscellava lungo l’arto, arrivando
a sgocciolare dal polsino della divisa. Schreiber fissò Schäfer con
indifferenza e sparò ancora, colpendolo in pieno petto.
Geert cadde a terra pesantemente e la vista si annebbiò. Udì il
sergente ridacchiare e il soldato dire: - Spero di aver fatto la cosa
giusta. - Era solo un ficcanaso, - grugnì Hahn. - Va’ a chiamare Fuchs, ci
penserà lui a sistemare tutto. Geert rimase a fissare il cielo: l’oscurità della notte si fece più
scura e impenetrabile, come se su di lui stesse calando un nero
sipario. Eppure, non era ancora morto, sentì il suo corpo venire
raccolto e trasportato e voci concitate che confabulavano. Infine,
svenne.
Non seppe dire quanto tempo era trascorso, quando lentamente
riprese conoscenza.
Riconobbe le voci di Fuchs e di Mengele a colloquio, proprio vicino a lui.
Forse mi stanno osservando si disse. Forse sanno che non sono
morto.
Evitò di aprire gli occhi e rimase ad ascoltare.
- Non era necessario eliminarlo - interloquì il dottor Mengele. 27