Hi-five, pollice in alto, pugno contro pugno… Insomma l’intero
repertorio di cazzate. “Tutto a posto? … Come butta? ... Non c’è
male, ci trasciniamo amico, ci trasciniamo nel liquame”.
Infine mi sedetti a terra tra il groviglio di corpi, appoggiando la
schiena al muro di monitors.
Mi lasciai trasportare dalla musica e dalla proiezione composita
della caduta libera, dal puzzle dell’umanità nel baratro della decadenza.
Infine venne la camerierina bionda ed emaciata, col suo maquillage Emo e la tutina sexy.
Aveva in mano una bottiglia di Scotch di marca.
– Credevi di sfuggirmi, papi? – Disse prendendo posto al mio
fianco.
– Sei una bella testarda tu, eh?– Sono una cagna che non molla la presa facilmente. –
– E come fai di nome? –
– Genny! Tu invece ti chiami Marco e sei mezzo spagnolo, giusto? – Sei bene informata, vinci un sigaro. – Sii, ma che sia lungo e tosto come piace a me – rispose sfilandosi le scarpe col tacco a spillo.
Aprì la bottiglia, tracannò una lunga sorsata e me la passò.
– Offre la ditta? – Domandai.
– Già, la premiata ditta gola profonda! –
Era simpatica la biondina. Parlammo urlandoci nelle orecchie,
per superare il volume della musica.
– Mi sembri giù di corda. – Azzardò a un certo punto.
– Le cose non girano per il verso giusto –
– Capitano a tutti i periodi di merda – A me capitano troppo spesso. Sono una specie di calamita per
le rogne. – Proclamai dopo avere buttato giù un bell’ingozzo di
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