Il tempo trascorreva anche fin troppo lentamente e, per ingannarlo, decisi di guardarmi attorno. Fu così che scoprii,
sotto la scrivania, una pila di scartoffie, fogli vari e volumi
rilegati in pelle consumata dal tempo, fra i quali individuai
un registro. Le mie fantasie sul vecchio bibliotecario chino
su quella scrivania, con un pennino fra le mani, le dita sporche d’inchiostro e la schiena curva, sembrarono avere una
conferma.
La mia insaziabile curiosità mi spinse ad appoggiare il registro sul banco e ad aprirlo. Il frontespizio, scritto in una
impeccabile calligrafia, mi indicò che si trattava del registro
dei libri presi a prestito e restituiti. Tuttavia, quando continuai a sfogliarlo, perplesso e sorpreso mi accorsi che le altre
pagine erano completamente intonse. Nessuna traccia di inchiostro macchiava quella carta ingiallita dal tempo, eccetto
che per un solo e unico titolo: Le Rovine di Alessandria.
Quelle parole risuonarono subito familiari nella mia mente
e per un attimo mi ritrovai a pensare a quali remoti ricordi
appartenesse quella gelida e soffocante sensazione di déjà
vu. Chiusi il registro e lo riposi al di sotto del banco, dove
l’avevo trovato, cercando di resistere all’impulso di tuffarmi
nei ricordi, alla ricerca dell’origine di quel campanello che
era suonato quando avevo letto quel titolo. Mi abbandonai
alla poltrona in pelle, incrociando le braccia e sollevando il
capo verso l’orologio che era stato appeso al di sopra delle
porte d’entrata: segnava la mezzanotte.
Non era passato un solo minuto dall’inizio del mio turno di
lavoro.
Con un sospiro, abbassai lo sguardo e lanciai un’altra occhiata al registro. Una biblioteca così immensa, al centro di New
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