calibrati, sincopati, quasi meccanici, poi scattarono
rapidi come fiere assetate di sangue.
Gli altri membri del Sonderkommando che si trovavano
lì vicino furono aggrediti, azzannati. E si scatenò il panico.
Geert si alzò in piedi. Un cadavere rianimato si accorse di
lui e gli venne incontro; istintivamente, l’ufficiale estrasse
la Lüger e lo abbatté centrandogli l’unico occhio sano.
Ancora una volta ringraziò la Dea Bendata: credendolo
morto, non gli avevano tolto la pistola.
Balzò oltre, riuscendo a liberarsi dalle mani dei Redivivi
che cercavano di agguantarlo, forse ancora troppo deboli
in quel primo moto di risveglio.
Senza pensare a nulla, se non a salvarsi la vita, corse il più
lontano possibile dallo scempio che si stava consumando
tutto intorno a lui.
Girando l’angolo di una baracca si trovò davanti
Schreiber e Hahn. Sparò al primo, colpendolo alla gamba
destra e passò di corsa accanto al secondo che, incredulo,
rimase a fissarlo, forse ancora sotto l’effetto dei fumi
dell’alcool.
Scappò via. Si girò solo una volta e vide i Redivivi che
si avventavano sui due SS. Presero a sbranarli con foga e
bramosia, come se il fuoco che stesse dannando la loro
anima non fosse la fame, ma la vendetta.
Senza sapere in che punto del campo fosse, s’infilò
dentro il primo caseggiato che vide. Sprangò la porta
con una branda e poi, stremato, si lasciò scivolare con la
schiena contro la parete sino a terra. Strinse le ginocchia
al petto e rimase ad ascoltare gli spari, le urla dei carnefici
e le grida delle vittime, senza saper più distinguere chi
erano gli uni e le altre.
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