il più ridicolo: in groppa a Ronzinante e col fido Sancho
che gli sonnecchia di fianco, impartisce comandi al vento,
lì dove le sue allucinazioni vorrebbero schieramenti di
feroci mulini a vento. Trombe d’ottone e tamburi in pelle
d’asino scandiscono il ritmo della marcia. L’armata avanza
implacabile verso il centro della sala, dove trova origine la
sterminata prateria bordeaux del tappeto persiano.
- Scarafaggi. Una fottuta invasione di scarafaggi, ecco
cos’è. Adesso alzi la cornetta del telefono e chiami la
disinfestazione. -
Questo è ciò che si agita nella mente di Debur, mentre il
corpo non riesce a staccarsi dalla statua della dea monca,
nè ad aprire la porta di casa e scaraventarsi nel gelo della
notte che avanza. È appena l’inizio, lo sa. E non può farci
niente.
Lo schermo al plasma emette un lieve bagliore, una luce
giallognola e deprimente che illumina il mobile basso con
la consolle di gioco e il telecomando; brilla a intermittenza,
lanciando un appello muto e ossessivo che però non deve
attendere a lungo. Numerosi led, spie, luci al neon e timer
prendono vita in danze frenetiche che animano il lato
sinistro della sala. Dalla scrivania il computer stride, nel
modo tipico che ne accompagna l’ accensione, facendo
esplodere le casse in un grido divino e furente, che chiede
tributi di sangue nemico: il motivetto di benvenuto del
sistema operativo. Persino la stampante e lo scanner
sembrano impazziti, con il loro borbottare e vomitare
fogli impiastricciati di toner, mentre il groviglio di cavi
delle macchine diventa un nido di serpenti neri stuzzicato
da un bastone. La Playbox sul tavolino inizia a tremare,
moderno vaso di Pandora abitato dai peggiori demoni delle
leggende. Dal dispositivo di inserimento dei videogames
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