avevano in mente e quella giovane donna a cosa gli serviva
non riusciva a capirlo. Il gruppo entrò in un tubo enorme di
materiale trasparente, questo partiva in orizzontale affianco ad un palazzo di ferro per poi curvare verso l’interno del
complesso. Una piattaforma si alzò come un’ ascensore,
trasportando al suo interno i degenerati. Kraban rimase
colpito da quello sfoggio di tecnologia, dunque il complesso
funzionava ancora e quegli scintillii che aveva visto scendendo dovevano essere i pannelli ad energia solare. Lo
sciacallo che era in lui gioì, quella città era meglio di quello
che si aspettava. Senza perdere tempo scattò fuori dal nascondiglio, ma esplorando la piazza non riuscì a trovare
nulla che indicasse i piani dei Demoni. Attese anche l’ascensore, senza risultato se non perdere tempo prezioso.
Seccato, Kraban si inoltrò nella città di ferro, avanzando
lentamente staccando liane e arbusti con la daga. Nel suo
vagare visitò varie strutture, ormai scheletri di un tempo e
di un mondo ancestrale. Vide, tra animali e vegetazione, vasche vuote dove una volta venivano tenute creature in animazione sospesa, giganteschi robot arrugginiti e computer
inumiditi, ma senza trovare nulla di utile. Dov’era tutta la
tecnologia funzionante? Dopo un paio di ore che vagabondava, affacciandosi dalla finestra di quella che esplorandola
gli era sembrata una base operativa, scorse del fumo che
pigramente si spostava nel cielo. Appostato dietro la finestra vide al centro di un gruppo di capanne fatte di legno
un enorme struttura metallica, una gigantesca antenna
puntata verso il cielo. Distante dall’antenna, a destra e a sinistra rispettivamente, due rampe di lancio erano inclinate
in modo speculare. Se le due astronavi che ospitavano fossero partite contemporaneamente, si sarebbero scontrate
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