vita.
La casa, o almeno quella che fatico a chiamare tale, era semplice.
Seguiva una geometria perfetta e, cosa che mi colpì subito, al
centro della stessa vi era una scrivania antica con al centro alcuni fogli sparsi, scritti con grafia malferma ed ondeggiante.
Lessi con enorme fatica.
Sembrava l’ inizio di un racconto che narrava di un naufragio,
ma il linguaggio era aulico, sacrale. Da lì, vidi che ricoperto da
una fitta coltre di buio vi era sulla sinistra un piccolo passetto.
Lo seguii. Mi portò in un’ altra sala, una enorme biblioteca dalla
struttura complessa. In un angolo una scala a chiocciola si arrampicava su colossali pareti. Al centro un altro tavolo che sembrava provenire da un passato remoto e su di esso, in bella vista,
solo un libro. Mi colpì che fosse l’ unica cosa sulla quale
non vi era neppure un po’ di polvere. Lessi il titolo: Robinson
Crusoe.
Sobbalzai dal terrore. Era il mio nome!
Fu esattamente in quell’attimo che un lampo cadde sulla casa e
poi fu buio assoluto. Ebbi l’ impressione che si insinuasse dentro me separando l’anima dal corpo. Poi, lontana e tremolante,
una piccola luce squarciò quel velo granitico che mi avvolgeva
liberandomi. Realizzai presto che un uomo con una candela in
mano si stava avvicinando. Lento, imperturbabile.
Quando la luce fu sufficiente vidi un viso severo ma sereno attraversato da rughe profonde che scavavano delle onde dalla superficie giallastra della sua pelle.
Con poche e garbate parole, che ora sono completamente cancellate dalla mia mente, mi disse che si chiamava Daniel De Foe.
In quell’ attimo, orribilmente, capii.
Io non esistevo.
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