che ne stessero creando di nuove, oltre alle bocche che avessero
avuto qualcosa da ridire. Per fortuna non eravamo tanto stupidi
da farci beccare. Esili file di ragazzini tremanti guardavano le
loro creazioni andare in frantumi, rotolare e mescolarsi con il
fango delle pozzanghere di fine autunno. Il diverso, schiavo ed
interprete delle nostre fantasie, ritornava quella poltiglia anonima che avevamo conosciuto. Le autorità non colsero nessuno
sul fatto, ma nella cerchia degli adulti qualcosa trapelò lo stesso. Qualche genitore doveva aver messo sotto torchio un figlio
più fragile e meno risoluto degli altri. Rientravo da un giorno
di scuola qualsiasi, ero molto triste anche se grato per averla
scampata e non mi resi subito conto del silenzio che permeava il
salotto di casa mia. Dove in genere risuonava il canticchiare della cameriera o il vocìo degli occasionali venditori porta a porta,
regnava solo l’ eco dei miei passi. Incontrai gli sguardi arcigni
di mia madre e di alcune vicine. Mio padre, in piedi accanto al
divano, mi invitò a salire in camera con un cenno del capo. Capii che ci avevano scoperto, e aspettai con apatia una punizione, una ramanzina, un discorso tra “uomini” : niente.Gli anziani
avevano dichiarato illegale non solo la sostanza e il suo utilizzo,
ma ogni riferimento anche implicito alla cosa. Il circolo dispose
che i barattoli venissero recintati e sorvegliati giorno e notte. Le
giornate di allegria e ribellione erano finite. Trascorsero alcuni
mesi grigi in cui comunicavamo solo negli intervalli tra una lezione e l’ altra, poiché ci era fatto divieto incontrarci o parlare
al di là delle mura scolastiche. Ma il pensiero era costantemente rivolto al diverso e alle sue metamorfosi, alle innumerevoli
possibilità che avrebbe continuato ad offrire se non ci fossimo
stupidamente esposti allo sguardo indagatore della legge. La “rivoluzione”, così come la chiamavamo, avrebbe dovuto procedere in sordina e diffondersi senza troppo rumore. Ma eravamo
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