Il Diverso
di Michele d’Orsi
Il diverso era una calcina bianca, riposta in barattoli uguali che si
ammassavano sul ciglio del baratro; guerrieri inanimati di latta
e ruggine, attendevano il gesto che li avrebbe strappati al sonno.
I cilindri montavano la guardia da secoli, muti; il più anziano
tra noi esseri in potenza era nato alla loro ombra, e lui ormai
aveva almeno un migliaio di anni. Molti ritenevano che i contenitori esistessero da sempre, che fossero nati assieme a quello
straccio di terra sospeso sul nulla. Quella che chiamavamo casa.
Le lattine erano fidi mastini posti a guardia di colonne d’ Ercole,
nascondevano il vuoto che attendeva al di là. E quel pinnacolo
ammuffito e pieno di buchi, l’ alta Torre d’Onice al centro del
villaggio, si rivelavanulla più cheun’inutile accozzaglia di mattoni neri. Certo, la sua biblioteca era immensa, custodia dei più
antichi segreti della storia di un popolo. Ma tutti i suoi maestri,
le pergamene ingiallite, le pile di documenti lasciati ad ammuffire nelle scansie, non erano serviti a far luce sugli oggetti e la loro
origine. Tutto lo scibile di un pianeta era polvere spazzata via
dalla tramontana del mistero. Comunque i misteri a quei tempi
non importavano a nessuno. Certo, gli studiosi si azzuffavano
ancora sul come e sul quando: di cosa fosse fatta la materia all’
interno dei contenitori, chi li avesse sistemati a quel modo, se
la loro disposizione seguisse un particolare schema. Purtroppo
però avevano perso di vista la domanda fondamentale: perché?
Qual’ era il significato della presenza ancestrale, quella materia
non esistente altrove in natura? Qualcuno doveva averla estratta
dalle rocce di un altro pianeta, inscatolata e riposta alla frontiera della nostra esistenza. Magari un giorno gli alieni sarebbero
tornati a riprendersi le loro scatole. Gli esseri in potenza non ci
facevano più caso. Mentre noi giocavamo ai soldati strisciando
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