così nitido e pulito.
Mentre si perdeva nei suoi ricordi da impaurito, o solo incompleto, liceale riprese consapevolezza di se stesso e di quello
che stesse vivendo in quel momento. Gli succedeva spesso
di perdersi in pensieri surreali e ritrvandosi a parlare tra sè
e sè. Appena rinsavì si accorse di trovarsi in un altro posto:
era finito nel bel mezzo di una lunga strada vuota, piena del
tipico caos da città. Si udivano donne urlare contro figli che
scappavano via dalle loro mani, cani che abbagliavano contro altri cani col fiero intento di predominare, tintinnii di biciclette, voci grosse di persone spavalde e altre flebili di chi
forse lo era meno, o che teneva ben celata una mina vagante.
Camminava, camminava nel vuoto, nel nulla più assoluto,
tutto quel frastuono, quel fracasso gli premeva il cranio quasi a schiacciarlo, quando di tutto punto gli si palesò davanti: tutto smise di fare rumore, aveva il corpo diviso a metà,
come se una linea fosse disegnata netta sul suo bacino, le
branchie pendevano ai lati del suo effimero volto, i pantaloni ben stirati con una piega perfettamente verticale quasi a
formare un angolo retto con la punta delle sue scarpe lucide
e marroni.
- Ciao. - gli disse l’essere composto, con un’aria familiare e
calda di chi ti conosce da poco ma riesce a non farti faticare
nel mostrare quello che hai di più apprezzabile.
- Ciao! - rispose l’uomo stringendo la sua mano cerea e bislunga. Cominciò a parlare muovendo lentamente le branchie, la sua voce umana usciva scivolando come le dita sulla
seta, dal suo tenero boccheggiare.
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